Smile, la recensione

Il modello standard dell'horror declinato il meno possibile e messo in pratica saccheggiando da altri film per il godimento di nessuno

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione di Smile, in uscita al cinema dal 29 settembre

In un genere, l‘horror sovrannaturale delle maledizioni, che non brilla per dialoghi, Smile si distingue per una scrittura di particolare bruttezza. A suo modo un’eccellenza. Quel che viene detto, come viene detto e il tempismo con cui viene detto si attestano a livelli molto alti di innaturalismo. Tutto è lontano dalla maniera in cui le persone parlano e semmai molto vicino a quel che serve venga detto per mandare avanti la trama. Smile infatti sembra proprio un’esercitazione di una scuola di sceneggiatura, in cui viene chiesto di scrivere una storia con uno spunto originale ma che rispetti tutti i passaggi obbligati del genere, senza saltarne nessuno, in modo da far vedere di averli imparati bene. 

La maledizione del “vedo le persone sorridere male” infatti viene prima contratta, poi il mondo intorno alla protagonista non capisce cosa le accade e la scambia per matta, dopodiché inizia ad indagare riguardo cosa le stia accadendo, scoprendo che altri come lei sono finiti malissimo, fino a trovare una persona (solitamente un vecchio e/o vecchia) che sa tutto e gli può spiegare i meccanismi della maledizione, fornendo anche una chiave per vincerla, perché subito bisogna correre allo scontro finale. Faccia a faccia.

Questo esercizio da scuola di scrittura è di Parker Finn e poi è come se venisse passato ad un regista che non ha nessuna voglia di fare questo lavoro (nel nostro caso sempre Parker Finn) che tuttavia sa portare a casa le scene e riesce con successo a chiudere la produzione nel minor tempo possibile. Impossibile quindi che qualcosa in questo film si distacchi anche poco dalla struttura base, impossibile pensare a delle variazioni che diano un senso unico alla storia, impossibile pretendere un’idea precisa e concreta sul proprio genere di appartenenza. Smile è uno dei film meno personali che si ricordino. Se mai le intelligenze artificiali conquisteranno Hollywood soppiantando gli umani, probabilmente questo film verrà salvato perché riconosceranno un loro simile. Il loro Shining.

In questo delirio di cinema abbozzato a mettere paura ci dovrebbero provare una 50ina di jumpscare (alcuni dei quali identici tra di loro) e uno score a cui spetta tutto il compito di creare un’atmosfera inquietante. L’idea centrale, quella di un sorriso maligno sulla bocca delle persone, è poi la ciliegina sulla torta di una lunga serie di spunti presi da altri film di successo (soprattutto It Follows). Un finalone che vorrebbe spingere sul gore, ma in realtà spinge solo sull’impressionante e che sembra contraddire il resto del film che abbiamo visto, fa di tutto per essere originale ma di nuovo lo fa nella maniera meno originale possibile.

Continua a leggere su BadTaste