Smetto Quando Voglio - Masterclass, la recensione

Il sequel di Smetto Quando Voglio centra l'action comedy anni '80, lancia una saga con una coerenza comica e d'azione che commuovono

Critico e giornalista cinematografico


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Inizia e finisce come Ritorno al Futuro 2 questo secondo capitolo di Smetto Quando Voglio, sottotitolato con pochissima fantasia “Masterclass” (per fortuna è l’unico dettaglio privo di fantasia di tutta la saga). Il film di mezzo della trilogia parte ribadendo il finale del primo (la scena nel parlatorio del carcere) e si chiude con un promo del prossimo. E non è l’unico dettaglio che viene dal film di Zemeckis. L’idea di sequel è infatti esplorare ciò che non ci era stato raccontato: prima cosa accadeva negli uffici della polizia durante i fatti che conosciamo, e poi cosa è successo da quando sono finiti in carcere a quando è nato il bambino di Pietro Zinni (un anno e mezzo). Addirittura vediamo le stesse scene del primo film, riprese da un’altra angolatura, così che svelino altro e uniscano geometricamente le due storie in una storia più grande.

Con un po’ meno di commedia rispetto al precedente (ma tutta compressa in determinati momenti esilaranti) e molta più azione, stavolta la banda è assoldata dalla polizia per agire al di fuori della legge, trovare le smart drugs sconosciute e quindi ancora legali, sequestrarle, capirne la composizione e passarle a loro così che le possano inserire nell’elenco di quelle illegali. Si armano, si strutturano, prendono nuovi membri (un medico mai specializzato che fa combattimenti illegali in Thailandia, un ingegnere che vende armi in Laos) ed entrano in azione.
E qui sta ciò che stupisce davvero del film di Sydney Sibilia (scritto stavolta con Luigi Di Capua e Francesca Manieri), la capacità di fare un’action comedy che (fatto totalmente inedito nel nostro paese) sposti il baricentro verso l’action, scegliendo di trascurare un po’ la parte comedy. Un passaggio epocale, soprattutto per come è riuscito.

C’è un grande assalto al treno in cui ritmo, battute, sorpresa e inventiva raggiungono lo zenit più alto del film

Non tutto è immacolato ma se l’inseguimento in auto ha un che di kitsch (per fortuna però in quel caso la vera azione è dentro il furgone), c’è un grande assalto al treno in cui ritmo, battute, sorpresa e inventiva raggiungono lo zenit più alto del film, e tutto a partire dai caratteri. Invece che appoggiarsi alla forza delle singole scene (la velocità di un assalto, il divertimento di un equivoco, il paradosso del reclutamento, l’assurdità delle professioni), Smetto Quando Voglio - Masterclass sceglie sempre di partire dalla propria idea centrale, il nucleo originale ed unico della serie, cioè l’unione che è presente in ogni suo personaggio tra una grande preparazione, una grande intelligenza e una scarsa visione di mondo. Questo contrasto è la maniera attraverso la quale Smetto Quando Voglio presenta il proprio universo e racconta ogni scena, anche quelle d’azione, tutto con una coerenza comica che è la regola nel cinema d’azione e intrattenimento migliore ma che suona innovativa qui, in un paese in cui l’evoluzione del genere si è fermata agli anni ‘70.

Non a caso allora questi eroi quotidiani, così radicati nell’ordinario e nel piccino, ma anche sorprendentemente in grado di essere protagonisti di una storia avventurosa, con tutto il grottesco dato dal mantenere parte della loro inadeguatezza, non somigliano ad eroi moderni ma a quelli del cinema anni ‘80 statunitense. Lontani dagli infallibili e inesorabili protagonisti d’azione anni ‘90 e ovviamente dai supereroi degli anni 2000, i ricercatori sono più come I Goonies: persone ordinarie, non diverse dal pubblico, che si trovano però in un contesto straordinario. Invece che entrare loro in un mondo avventuroso (come avviene agli agenti segreti, prelevati e trasportati altrove), è il mondo avventuroso che entra nel loro, che viene scovato nei sotterranei di ingegneria dove vengono conservati i prototipi delle tesi sperimentali o nei cantieri dei dipartimenti di ingegneria navale. Con la sua fotografia a doppia dominante, che rende ogni frame un luogo altro, strano, diverso, unico, l’epopea di Smetto Quando Voglio ha sempre un piede nel concreto ma non per la sua plausibilità (non c’è) quanto perché sa trovare ogni volta un modo di trasfigurare i luoghi del quotidiano in ambienti perfetti per l’avventura.

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