Sly, la recensione
Dentro Sly ci sono amici e fan, oltre a Stallone stesso, che raccontano la sua vita perché sia ricordato come un artista prima che una star
La recensione del documentario di Netflix Sly, sulla vita e la carriera di Sylvester Stallone, disponibile dal 3 novembre
Sly è un monologo di Sylvester Stallone, solo saltuariamente interrotto da qualche intervento esterno di amici e fan (ovviamente Arnold Schwarzenegger, rimasto in modalità “un uomo e il suo sogno” dalla sua serie, ma anche il critico Wesley Morris, Quentin Tarantino in versione critico cinematografico, suo fratello Frank, Talia Shire e il regista di Cobra!), è la storia della vita e delle opere di Stallone pensato per mostrare come le due cose corrispondano esattamente. Parte dallo spunto di un trasloco da Los Angeles, dove ha passato tutta la sua vita professionale, a New York, dove è nato e cresciuto, un trasloco per ritrovare gli occhi della tigre. E c’è tutta una stucchevole metafora visiva delle sculture dei personaggi più iconici che ha interpretato che vengono impacchettate.
La parte più interessante è allora proprio questa: come oggi a 77 anni Stallone scelga di raccontarsi. Non come una grande star hollywoodiana (o almeno non solo), che è ciò che è stato ed è nella testa della maggior parte delle persone, ma insistendo sulla parte autoriale della sua carriera. Tutto Sly è improntato a dimostrare che Stallone nasce, si evolve e morirà da artista (una buona parte delle interviste a lui sono filmate in casa, in mezzo alle molte opere d’arte che possiede, identificandolo con quel mondo). Tutto il racconto della sua carriera è fatto per spiegare in ogni momento le sue scelte artistiche, come abbia dato forma ai film suoi e in cui ha partecipato, come si possa essere attori/autori di film altrui e come in ogni momento in cui non aveva perso la direzione è stata la vena autoriale, il desiderio di essere filmmaker a guidarlo. Lo dice Wesley Morris all’inizio (dimenticando Charlie Chaplin e Buster Keaton): ci sono stati molti attori, che erano al tempo stesso registi e sceneggiatori di se stessi, lui è stata la prima superstar a farlo. Questo è come vuole essere ricordato.