Skywalkers: una storia d'amore, la recensione
Un soggetto più interessante della media non rende Skywalkers un "influencer movie" più interessante della media.
La recensione di Skywalkers, il film diretto da Jeff Zimbalist disponibile su Netflix dal 19 luglio.
Per qualche minuto all’inizio sembra che Skywalkers possa fare col rooftopping dei due russi quello che The Walk di Zemeckis faceva con l’equilibrismo di Philippe Petit. Le sfide atletiche sono simili, le poste in gioco anche, e così lo sberleffo anarchico alle forze di polizia lasciate con un palmo di naso dai performer. Le vertiginose riprese con droni e selfie stick di Angela e Vanya (che valgono il grande schermo) ricordano per un attimo quella che è l’essenza del cinema d’avventura: la capacità di proiettare noi comuni mortali dove in realtà non oseremmo mai spingerci, regalando l’emozione impossibile di una vita letteralmente appesa a un filo.
Il punto non è che probabilmente la narrazione sia falsa (la scalata è stata importante per la copertura mediatica che ha fruttato, e l’amore ad alta quota ha fin dall’inizio anche i connotati di un rapporto professionale studiato a tavolino). Il punto è che lo sembra. L’80% della durata di Skywalkers è un brutto reality show sulla crisi romantica che “coincide” con la preparazione del colpo. Non solo come attori Nikolau e Beerkus non hanno neanche lontanamente l’espressività delle loro riprese: è proprio la costruzione del racconto a essere fallata, portando qualunque spettatore con un minimo di alfabetizzazione visiva a chiedersi continuamente come mai un dialogo che si suppone privato avvenga a favore di camera con la fluidità di una cosa provata cento volte.
Non caschiamo dal pero, ed è probabile che il pubblico di riferimento dei due non abbia grosse pretese di realismo. Ma se fai del romanticismo una bandiera è tuo compito fare in modo che i sentimenti in scena siano credibili.