Skywalkers: una storia d'amore, la recensione

Un soggetto più interessante della media non rende Skywalkers un "influencer movie" più interessante della media.

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La recensione di Skywalkers, il film diretto da Jeff Zimbalist disponibile su Netflix dal 19 luglio.

Si sente un freddo incredibile in Skywalkers: una storia d’amore. Non perché i protagonisti Angela Nikolau e Vanya Beerkus scalino grattacieli di centinaia di metri esponendosi a vento e intemperie. Ma perché il docufilm voluto dalle superstar del rooftopping (compagni nella vita) risucchia qualunque calore umano da una storia che vorrebbe essere il massimo del romanticismo. Non ha senso chiedere a Skywalkers di essere qualcosa di diverso da ciò che è: il veicolo promozionale di due influencer che muovono cifre e sponsor importanti. Ha senso però chiedergli di saperlo fare, costruendo una narrazione in grado di appassionare e coinvolgere. Al suo posto c’è un’operazione di self-branding tra le più artificiose degli ultimi tempi, dove tutto appare talmente calcolato da inibire qualunque emozione.

Per qualche minuto all’inizio sembra che Skywalkers possa fare col rooftopping dei due russi quello che The Walk di Zemeckis faceva con l’equilibrismo di Philippe Petit. Le sfide atletiche sono simili, le poste in gioco anche, e così lo sberleffo anarchico alle forze di polizia lasciate con un palmo di naso dai performer. Le vertiginose riprese con droni e selfie stick di Angela e Vanya (che valgono il grande schermo) ricordano per un attimo quella che è l’essenza del cinema d’avventura: la capacità di proiettare noi comuni mortali dove in realtà non oseremmo mai spingerci, regalando l’emozione impossibile di una vita letteralmente appesa a un filo.

Purtroppo non dura. Dopo l’interesse suscitato dall’introduzione, che spiega com’è nato il movimento e come i due rivali siano diventati una coppia, il film trascura quasi completamente il romanticismo legato allo sport/arte performativa; l’idea (suggerita all’inizio) di due circensi moderni, quella della coppia criminale alla Bonnie & Clyde, la stessa poesia delle riprese ad alta quota: su niente di tutto questo il team capeggiato da Jeff Zimbalist sembra interessato a elaborare una riflessione per immagini. Invece, Skywalkers si dà una struttura da “ultima missione” – Angela e Vanya devono scalare un grattacielo in Malesia per ritrovare fiducia nella loro storia, poi appenderanno il drone al chiodo.

Il punto non è che probabilmente la narrazione sia falsa (la scalata è stata importante per la copertura mediatica che ha fruttato, e l’amore ad alta quota ha fin dall’inizio anche i connotati di un rapporto professionale studiato a tavolino). Il punto è che lo sembra. L’80% della durata di Skywalkers è un brutto reality show sulla crisi romantica che “coincide” con la preparazione del colpo. Non solo come attori Nikolau e Beerkus non hanno neanche lontanamente l’espressività delle loro riprese: è proprio la costruzione del racconto a essere fallata, portando qualunque spettatore con un minimo di alfabetizzazione visiva a chiedersi continuamente come mai un dialogo che si suppone privato avvenga a favore di camera con la fluidità di una cosa provata cento volte.

Non caschiamo dal pero, ed è probabile che il pubblico di riferimento dei due non abbia grosse pretese di realismo. Ma se fai del romanticismo una bandiera è tuo compito fare in modo che i sentimenti in scena siano credibili.

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