SKAM Italia 6, la recensione
La sesta stagione di SKAM Italia riesce a rinnovare il suo cast principale senza tradire se stessa. Una vittoria nel momento più delicato
La recensione della sesta stagione di SKAM Italia, disponibile su Netflix
Tiziano Russo dirige la sesta stagione uniformandosi a quanto già fatto, propone una regia funzionale a immergersi nel microcosmo fatto di scuola, discoteche, case e parchetti. Più impegnativo invece il lavoro in sceneggiatura fatto da Ludovico Bessegato, Alice Urciuolo e Elisa Zagaria. Non era semplice operare il passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo cast che qui avviene senza grandi scossoni, pur sacrificando inevitabilmente una buona quantità di affetto costruito con successo verso “la prima generazione”. Il fatto che il dilemma di SKAM sia simile a quello dell’MCU, ovvero continuare un format perdendo i protagonisti, fa capire quanto il progetto italiano, ormai libero dalle trame del modello norvegese, sia un fenomeno da difendere e studiare.
SKAM e il bisogno di rinnovarsi
A fare da filo conduttore per la sesta stagione di SKAM Italia ci sono due storie: quella di Asia e Giulio. Lui è appena arrivato nella scuola e nessuno sembra sapere nulla del suo passato. Ha modi gentili e un fascino ombroso, ma anche un evidente bisogno di integrarsi nei gruppi, di piacere. Asia invece è una studente con grande impeto politico. Organizza assemblee contro i neofascisti, molto popolari tra i coetanei e ha bisogno di cambiare le cose. La sorella, tennista di successo, assorbe completamente le attenzioni della famiglia. In crisi su più fronti, tra cui una relazione che non funziona con il suo ragazzo che è andato a studiare in America, Asia sviluppa una forma di anoressia nervosa.
La sesta stagione di SKAM non si semplifica la vita. Si muove su un territorio molto difficile e non sempre ha successo. Paga infatti il pegno di avere già in parte trattato il tema con Silvia, interpretata da Greta Ragusa ormai perfettamente in sincrono con il tono della serie. Serve più tempo invece a Nicole Rossi per costruire le sfumature del suo personaggio. Ce la farà verso metà stagione, non troppo tardi. Il problema è che, data la delicatezza del tema, è come se SKAM sentisse più di altre volte il bisogno di parlare chiaro al suo pubblico e suggerire vie di uscita.
Mai immune da alcuni momenti didascalici, la serie scivola in questa stagione dentro il territorio da “pubblicità progresso” più volte rispetto a quanto ci abbia abituati in passato. Non sono solo gli adulti, purtroppo, a usare frasi fatte per commentare l’anoressia. Lo fanno anche i coetanei di Asia, creando dei momenti che suonano come degli “a parte”. Segmenti in cui si sospende il normale andamento e si forzano i dialoghi per consegnare un messaggio.
Temi importanti da cui iniziare conversazioni
Le stagioni migliori riuscivano a nasconderlo meglio, qui no, però arrivati a questo punto sono sbavature che possono anche essere accettate grazie al secondo tema, che funziona meglio. Le seconde possibilità, l’estremismo violento “da curva” che trascina le personalità più fragili e le porta a compiere atti gravissimi senza averne la consapevolezza. Si può ricominciare lasciandosi alle spalle il passato? Se non ne avesse già parlato molto bene Zero Calcare con Questo mondo non mi renderà cattivo, SKAM sarebbe riuscita a mettere in luce qualcosa di veramente nuovo e trascurato nel modo in cui in Italia raccontiamo le difficoltà a integrarsi dei giovani.
I due temi, si incastrano quindi bene, con un punto di convergenza sul concetto di controllo. La stagione funziona in gran parte, non senza scivoloni, a trattare temi difficili e a far sentire vivi i suoi personaggi. Al netto di un episodio finale troppo leggero e sbrigativo SKAM Italia rimane un’oasi nella serialità italiana da difendere e da rendere sistema. Il fatto che sia così difficile imitarla, copiare e incollare i suoi punti di forza su altri prodotti, fa capire quanto lavoro di lima, quanto studio e passione, occorrano per riprodurre fedelmente nella finzione le emozioni e le ansie di una generazione. In definitiva: una vittoria, nel momento più delicato del "brand", che tranquillizza: la serie è viva, dopo la trasformazione, e ha ancora cose da dire.