Skam Italia 5, la recensione di tutta la stagione

La prima stagione interamente italiana di Skam rimane il racconto con pochi compromessi del presente e delle relazioni contemporanee

Critico e giornalista cinematografico


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Skam Italia 5, la recensione di tutta la quinta stagione della serie disponibile su Netflix dal 1 settembre

Quello praticato da SKAM Italia è uno sport solitario. È l’unica produzione italiana a raccontare il nostro presente di abbigliamenti, gusti, intenzioni, musiche, relazioni, abiti, desideri, locali e tecnologia. L’unico racconto di ragazzi che sembra fottersene di chi non appartiene al proprio target, che non sa nemmeno chi sia o cosa voglia il pubblico adulto, non ne prevede il punto di vista e non gli spiega niente. Come se non esistesse. E per questo probabilmente lo trova. Infine è l’unica tra le serie italiane (e quindi figuriamoci tra i film!) a dipingere i ragazzi come ragazzi e non come adulti scemi. 

Questo è stato SKAM Italia per 4 stagioni in cui ha adattato la serie norvegese, e questo continua ad essere in questa quinta stagione, tutta nostrana, dedicata ad un personaggio creato nella versione italiana, cioè Elia, e alla sua di vergogna (SKAM in norvegese significa quello, vergogna). È l’idea centrale delle 10 puntate ma non l’unica, ci sono altre trame che gli danzano intorno come sempre con maggiore o minore efficacia (ad esempio quella che fa capolino nelle ultime puntate e che riguarda lo psicologo è molto fiacca) e soprattutto ci sono le implicazioni di quel che avviene.

La prima stagione pienamente italiana sembra la più internazionale, cioè prende di petto un argomento che è molto più trattato all’estero che da noi (almeno con questo livello di precisione), ovvero le dinamiche scatenate nei singoli dalle aspettative di gender, come le vite dei singoli siano influenzate dal vivere in un gruppo sociale (e non c’è gruppo sociale più gruppo sociale della scuola). Solo che se nella maggior parte dei casi questo discorso è fatto intorno alle donne, al loro ruolo, alla loro posizione e al loro corpo (perché su di loro sì creano le frizioni maggiori nel mondo reale), Ludovico Bessegato e Alice Urciuolo, che la stagione l’hanno scritta, ribaltano il punto di vista e raccontano di un maschio e del suo senso di inadeguatezza rispetto a quello che ci si attende dai maschi. 

Il fatto che Elia non corrisponda alle convenzioni maschili crea una voragine intorno a lui che risucchia tutto. Ed è quella stessa voragine che (lo scopriamo subito) l’ha fatto bocciare mentre tutti i suoi amici sono passati all’università. Ed è uno degli aspetti migliori, la maniera in cui viene costruito il senso d’inadeguatezza e le molte implicazioni del sentirsi “indietro” rispetto agli altri, escluso da un mondo di cui tutti sono partecipi (l’università)  e che danno per scontato. Questo senso di isolamento che è nella testa di Elia (nella pratica continuano a frequentarsi) è quello che ci prepara alla rivelazione, ciò che ci spiega per l’appunto il suo sentirsi indietro, sentirsi escluso e non essere parte di ciò che gli altri vivono, che la rivelazione non farà che aumentare.

Nel mondo di SKAM chiaramente la risposta sono sempre gli altri, raramente sono il problema, e così è anche nella quinta. Anche perché la sua arma più affilata sono i dialoghi e la recitazione (due lavori che vanno di pari passo in questa produzione) e quindi quella a cui è affidata la gran parte delle soluzioni di messa in scena. Ma questa dolce implausibilità quasi da produzione americana, che vuole che le relazioni siano sia il problema che la risposta, è anche parte della lingua di SKAM. È tramite il modo in cui sono trattate le relazioni tra personaggi che si afferma come un prodotto unico, è tramite le scelte, le differenze e le identità dei personaggi e come queste influiscono nelle relazioni che racconta un mondo diverso da quello delle altre produzioni e che parla del suo mondo. 

Basta vedere come SKAM da sempre racconti i rapporti nuovi che esistono tra uomini eterosessuali e omosessuali (materia praticamente inedita), come funzionino, da cosa siano caratterizzati e cosa li renda originali. Certo in SKAM è sempre tutto fluido per format, non c’è nulla di realmente clamoroso, niente di davvero difficile e tutto ha una naturalezza che la realtà invidia. Ma basta guardare il modo in cui specialmente questa stagione usa il silenzio per capire che questa serie iper-dialogata poi il vero rumore lo fa con il racconto di ciò che rimane in gola a bruciare e non viene pronunciato, usando i piani d’ascolto come pistole per far capire, lì davvero e con partecipazione senza l’ingombro delle parole, cosa i personaggi pensino così nel profondo da non avere il coraggio di dirlo.

Tutto questo è la colonna portante di SKAM Italia e non è cambiato. Quel che cambia stavolta è che inevitabilmente questo spunto molto internazionale si declina in svolgimenti più vicini al nostro cinema e alla nostra televisione. Esteticamente e visivamente è tutto uguale ma la scrittura è inevitabilmente più italiana. La maniera in cui sono risolte scene, raggiunti certi punti, dispiegate certe tematiche non è più attraverso snodi dal sapore europeo ma più con un certo didascalismo che riconosciamo come nostro. Non sembra più un altro mondo ma è decisamente il nostro con tutti i pro e i contro. Non è infatti sempre piacevole, questo va detto, alle volte sembra che ci sia un po’ di sbrigatività e che la serie dia per scontato che le cose possano andare in una sola maniera (quando in realtà vanno come fa comodo a chi scrive). Sembra insomma che gli eventi si presentino e vadano come vediamo accadere in tutte le altre produzioni. Tuttavia in una serie che ad ogni stagione cambia piani, spazi e dimensioni per adattare il medesimo contenitore a personaggi, trame e toni differenti, è impressionante come ancora una volta (e chissà per quanto!) SKAM sia SKAM, faccia il suo lavoro e continui ad essere forse l’unica serie italiana che è davvero da sciocchi perdere.

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