Sir Gawain e il cavaliere verde, la recensione
Sir Gawain e il cavaliere verde di David Lowery attualizza l'epica del ciclo arturiano attraverso lo studio della forma, mantenendo invece il racconto nella sua valenza più tradizionale
Tratta dal ciclo arturiano del XIV secolo, l’epopea del cavaliere della Tavola Rotonda e nipote di Re Artù Sir Gawain è quella di un eroe che si cruccia a causa di un dilemma morale: assecondare la natura (e quindi l’istinto di conservazione e le passioni) o perseguire la virtù, un codice umano e razionale, ovvero il codice cavalleresco?
Il film mantiene un’epica antica, si divide tra quei codici e quei miti. Tuttavia, pur muovendosi in un’atmosfera fantasiosa, tra fantasmi e creature magiche, questa rimane come disincantata, cupa e a tratti horror ma mai davvero meravigliata né spaventata. Il viaggio nel fantastico è insomma un viaggio normalizzato, dove c’è poco di cui stupirsi. Il viaggio dell’eroe (Dev Patel) è totalmente spirituale, dettato da un conflitto interno, fatto di visioni deliranti ed esitazioni, e al contrario quasi per nulla esterno: il combattimento è quasi assente, lo scontro fisico è solo quello sessuale, con la controparte femminile (Alicia Vikander).
Quella che è sinceramente attuale e moderna è, invece, la sola forma. Proprio la forma, l’estetica e non tanto l’epica (che è comunque racchiusa in una storia scritta finemente e dalla chiara valenza metaforica, ma che non è memorabile) è dove Lowery attua il suo gioco da cinema contemporaneo, dove davvero stupisce, costruisce e propone.
In pieno spirito arthouse quale quello della casa di produzione dietro il film, ovvero A24 (che dello stile al di sopra di tutto è la paladina indiscussa), Sir Gawain e il cavaliere verde è un film di belle immagini, di riquadri dalla consistenza pittorica. Pur non essendo davvero così spinto nel simbolismo (molto meno di quanto voglia far credere), il film punta tantissimo sul fattore visivo, lavorando sul chiaroscuro, sul colore, sul richiamo incrociato tra le immagini. Un lavoro degno di nota, affascinante, ma che alla fine dei conti mira a far brillare di meraviglia il curatissimo assetto scenografico (costumi compresi) e molto meno a costruire un mondo nuovo.
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