SIP Kids, la recensione

SIP Kids: Terry Moore torna a raccontare le avventure dei personaggi di Strangers in Paradise in versione bimbi

Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.


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È evidente che Terry Moore faccia fatica a separarsi dall'universo narrativo di Strangers in Paradise, la sua opera più celebre, a cui ha lavorato per ben 14 anni. Un paio di mesi fa l'autore ha annunciato di voler proseguire la serie con alcuni episodi inediti, ma già nel 2015 aveva ripreso in mano il cast tanto amato per rappresentarlo in una forma sorprendente, solo intravista nel fumetto originale.

SIP Kids riprende infatti le versioni infantili di Francine, Katchoo e degli altri personaggi, immaginando che tutti si conoscessero già ai tempi della prima elementare. Il risultato sono quattro episodi ambientati tra partite di calcio in cortile, vacanze sugli sci, ore di ginnastica, feste di compleanno e raccolte di dolcetti la sera di Halloween; il tutto raccontato con uno stile nel quale è difficile non rivedere la forte influenza che Charles Schulz ha avuto sull'autore.

La caratterizzazione grafica dei bambini non è però sufficientemente accattivante e il tratto con cui sono disegnati non risulta adatto alle dimensioni delle vignette, ben superiori a quelle di una strip, cosa che fa apparire le tavole abbastanza spoglie anche per quanto riguarda i fondali. I colori di Steve Hamaker tentano di riempire questo vuoto, ma gli effetti cromatici sono artificiosi e non compensano la dubbia resa degli elementi visivi essenziali.

Le situazioni su cui si basano le trame sono semplici ed efficaci, ma purtroppo il modo in cui vengono sviluppate non sfrutta al meglio le potenzialità dell'operazione. La lettura, dunque, si riduce quasi a un fanservice rivolto esclusivamente ai fan più agguerriti di Strangers in Paradise, mentre è priva di interesse per chiunque non conosca già i personaggi originali. Sarebbe stato preferibile sfruttare lo stesso cast per un prodotto in grado di reggersi sulle proprie gambe.

Anche le gag e l'umorismo funzionano a metà: Moore utilizza meccanismi narrativi e comici propri della striscia a fumetti, applicandoli però a un formato comic-book, con una gestione degli spazi e dei ritmi non sempre efficace da questo punto di vista.

Non si capisce poi perché alcuni episodi si concludano lasciando la trama in sospeso, come se dovesse continuare successivamente; cosa che puntualmente non avviene, rendendo la narrazione decisamente frammentata. Nemmeno i personaggi sono un rifugio in cui poter trovare delle sicurezze e una garanzia di qualità: il passaggio all'infanzia li trasforma in macchiette parodistiche, in alcuni casi così estreme da apparire quasi afflitti da patologie.

Spiace pensare che Moore possa aver trattato con tanta superficialità le versioni alternative di un cast delineato nel corso di anni, con grande cura e sensibilità.

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