Sing Street, la recensione
La più semplice delle commedie musicali diventa in Sing Street un inno bellissimo alla musica come risposta ad ogni problema della vita
Ribaltando l’intreccio tipico della commedia anni ‘80, e mettendo questa volta un ragazzo a smaniare sentimentalmente per una ragazza più grande, più cool e troppo distante da lui, John Carney esplora ancora un’altra dimensione di come musica e sentimento si sposino. Dopo la storia del musicista di strada e della straniera di Once, della cantante e del produttore di Tutto Può Cambiare (forse il suo capolavoro, il film in cui umanità, paesaggio, musica e tecnica filmica raggiungono uno zenith che gli vale un posto piccino nella storia del cinema), ora quella di un liceale che forma una band con l’unico scopo di conquistare una ragazza e nel farlo scopre cosa può fare la musica, continua a scolpire una forma personalissima nella classica commedia musicale. Una in cui le canzoni non sono corollario o parte della forma del film, ma hanno un ruolo attivo nella trama.
Non che non abbia dei padri John Carney, ma se il suo tocco ha una leggerezza e al tempo stesso una serietà non nuove al campo delle commedie migliori, il ruolo che gioca la musica è unico. Non è la scelta dei brani, non è la loro esecuzione e non è nemmeno il montaggio delle parti musicate, è proprio come tutta la storia venga migliorata dal fatto che nella vita dei protagonisti esiste la musica, come se sotto sotto la vera risposta a tutto non siano i sentimenti ma le note. Questa piccola utopia che striscia sottile tra le scene porta un livello di ottimismo, anche nei momenti più tragici, che è unico e che Carney ha introdotto nel cinema, uno che non nega le amarezze della vita ma le contestualizza, gli dona un senso più grande e le mette a frutto come in una ballad malinconica.