Sing 2 - sempre più forte, la recensione

Perse per strada tutte le storture e le particolarità che gli davano personalità, Sing 2 - sempre più forte è un film come tutti gli altri

Critico e giornalista cinematografico


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Sing 2 - sempre più forte, la recensione

Nel panorama sconfortante dei film Illumination Sing si era distinto per avere una personalità propria che non fosse un clone dell’appiccicosa tenerezza su cui lo studio batte con una violenza inaudita.

Era un film che rimetteva in scena i meccanismi dei talent show canori in una storia da cinema, e che lo faceva con un protagonista eccezionale, l’impresario-koala di incrollabile ottimismo ed inesauribile energia ben accoppiato alla voce di Matthew McConaughey. Il sequel di Sing dismette entrambe queste caratteristiche, cioè non è più la drammatizzazione di un talent perché non ci sono più talenti da concretizzare o grandi domani da conquistare ma semmai è un’avventura nel territorio dello show business. E dall’altra parte anche la forza di Buster Moon ne esce depotenziata. C’è sempre la sua passione e martirio nel cercare di dare forma ad uno spettacolo al centro di tutto, solo che non è più protagonista come prima, non è l’eterno sconfitto ma anzi qualcuno che con la sua compagnia funziona e ha successo, solo che deve dimostrarlo in condizioni più difficili.

Insomma se Sing nelle sue storture era molto forte, questo sequel “aggiustato”, ripulito, liscio e uniforme, è senza qualità. Puntando su quelli che erano gli elementi di maggiore successo adesso il punto sembra essere la caratterizzazione dei personaggi (altro strumento vincente del primo). E in effetti è fatta benissimo, è divertente e i referenti reali di ogni personaggio sembrano ad un passo. Così però Sing 2 è solo una buona parodia di un musical che racconta di una compagnia che deve mettere in piedi un musical (niente di più classico) e non una commedia di caratteri molto strutturata come il precedente.

C’è in più un bel villain spietato (con figlia da piazzare) e un idolo lontano da conquistare (la cui figura ombrosa è poi usata malissimo una volta che entra nella banda) ma sono aggiunte che di nuovo vanno nella direzione della normalizzazione.

E anche volendo inseguire le idee più di storia e contenuto, Sing era un’ode al talento e alla capacità del protagonista di trovarlo anche dove gli altri non lo vedono e farci qualcosa. Era insomma la quintessenza dell’etica statunitense applicata allo show business, quell’idea che non ci sia niente di più grave di un talento che va sprecato e al tempo stesso che non esista un talento reale che non possa avere successo, è l’impresario a doverlo mettere nelle giuste condizioni. Sing 2 è invece il racconto di una banda di personaggi che creano uno spettacolo partendo da presupposti assurdi, lo creano là dove sembra non possa avvenire. Che è decisamente più ordinario. È un’avventura di una comitiva di personaggi che funzionano e basta, non la storia di una vita.

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