Sin City

Poliziotti corrotti. Prostitute mozzafiato, ma pronte ad uccidere. Criminali intoccabili. Questa è Sin City, un’emblema del noir, tra fascino e banali stereotipi...

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Robert Rodriguez è un genio. E non mi riferisco al valore dei suoi film (tra cui non c’è un titolo che definirei almeno ottimo), ma alla sua capacità di essere tra i pochissimi, veri registi indipendenti della sua generazione.
Rodriguez ha capito che si possono fare film di grande impatto spendendo cifre molto modeste (guardate Spy Kids o Sin City e ditemi se vi sembra che costino un quarto di Sahara...), sapendo bene che, con film da 40 milioni di dollari, è praticamente impossibile andare sotto. Se certi responsabile degli studios lasciassero il loro posto a registi del genere, forse le cose a Hollywood funzionerebbero meglio.

Dato a Rodriguez quello che è di Rodriguez, è il caso di spiegare perché Sin City mi ha lasciato sostanzialmente indifferente e a tratti irritato.
In primis, è impossibile non parlare del fumetto di Frank Miller da cui è tratta la pellicola, considerando che si tratta di una trasposizione non solo fedele della storia, ma addirittura nelle immagini (alcune tavole vengono ricostruite pari pari). Il fumetto di Frank Miller è stato sicuramente rivoluzionario (e ispiratore per molti, vedi Mike Mignola e il suo Hellboy) dal punto di vista visivo. Ma non si può dire altrettanto delle storie. I più banali stereotipi del noir vengono messi in scena (duri dal cuore d’oro, dark ladies-vedove nere, politici criminali), senza che si faccia uno sforzo per creare qualcosa di nuovo.

E cosa fa Rodriguez? Decide di ricreare con il digitale le scenografie, con effetti contrastanti. Se alcune cose sono assolutamente affascinanti (penso ai voli sopra i grattacieli), altre suonano veramente false. Ma anche così è innegabile il valore dell’esperimento e c’è da augurarsi che l’Academy l’anno prossimo non si dimentichi del direttore della fotografia (Rodriguez, of course), come ha fatto quest’anno per un altro titolo spartiacque, Collateral.
Purtroppo, la fedeltà alle storie originali sul piano narrativo non aiuta la pellicola. Intanto, la voce off, che nel fumetto può essere affascinante, alla lunga sullo schermo stanca e risulta quasi involontariamente ridicola. Così come certe frasi retoriche e pompose risultano stonate nel contesto di un’opera che vorrebbe essere cruda e sincera.

E che dire del realismo? Molti hanno criticato (o esaltato, secondo i punti di vista) l’eccesso di violenza che pervade Sin City. Ma in realtà , le scene sono così eccessive e gratuite (penso al modo in cui Jackie Boy recupera la sua pistola) che non fanno quasi nessun effetto. Ben altra cosa il rigore e la profondità di Old Boy.
E alcune situazioni sono fuori dal mondo. Penso in particolare al terzo episodio, in cui un potentissimo figlio di un senatore non riesce a trovare una ragazzina in otto anni (che non cambia neanche nome) e che può nascondersi in un auto con i protagonisti, nonostante di lui sia nota la puzza che emana.

E in questo contesto artificioso, anche l’esplosione di sesso che dovrebbe emergere dalla pellicola risulta poca cosa. Rosario Dawson era molto più eccitante ne La 25esima ora, Brittany Murphy in 8 Mile e Jaime King, oltre a risultare più attraente in Pearl Harbor, non è proprio adatta per rappresentare la “dea Goldie”. Purtroppo, non aiuta il tutto un doppiaggio pessimo, che risulta inadeguato anche solo a chi ha sentito qualche clip in originale.

Infine, nota personale di fastidio verso l’enfasi con cui è stata promossa la collaborazione alla regia di Quentin Tarantino. Che ormai, più che dei suoi film, vive associando il suo nome ad altri progetti. E mentre l’autore di Pulp Fiction annuncia otto film al mese e ne gira uno ogni cinque anni, nello stesso periodo Rodriguez dà vita a un paio di franchise. Tanto per capire la differenza tra i due...

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