Silver e il libro dei sogni, la recensione
Prendendo le mosse dall’incubo ad occhi aperti alla Stranger Things, il film contrae il materiale narrativo dei libri con un ritmo forsennato e confusionario, riuscendo tuttavia a trovare un senso nella solidità del suo apparato visivo-produttivo.
La recensione di Silver e il libro dei sogni, disponibile su Prime Video dall’8 dicembre
Silver e il libro dei sogni è la storia di Liv Silver (Jana McKinnon), un’adolescente appena trasferitasi con la madre e la sorella a Londra dalla Germania con alle spalle il trauma della morte del padre. Costretta sotto lo stesso tetto con il nuovo compagno della madre e i suoi figli, Liv scopre di avere qualcosa in comune con il fratellastro Grayson: ogni volta che si addormenta si ritrova in un mondo dei sogni condiviso con lui e i suoi amici, dove ogni porta è l’accesso al sogno dell’altro. Questo escapismo permesso dal “libro dei sogni” ha però il suo risvolto da incubo, e così la presenza misteriosa di una ragazza metterà i sognatori di fronte al pericolo.
Il meccanismo narrativo è di per sé interessante: ciò che succede nel sogno ha effetti sulla vita reale, e così l’avventura onirica rimane sempre ancorata alla trama principale. Tutto ciò funziona fino a un certo punto, perché poi quando si tratta di collegare a tutti i costi diversi fili di trama (la ragazza misteriosa, le sottotrame degli altri personaggi) il film si fa tanto concitato quanto caotico - non dà il tempo di assorbire un evento che già si passa il successivo, quasi si avesse fretta di concludere.
Ciò si riversa nella qualità dello storytelling, che da intrigante si assesta sulle scelte più banali e telefonate possibili (la love story, le motivazioni dell’antagonista). Un vero peccato, perché la dimensione produttiva avrebbe tutte le carte in regola per aprirsi a una buona serializzazione… come infatti il film stesso ci fa intuire.
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