Silence, la recensione
Quell'impresa impossibile di manifestare la presenza del divino pur nella sua assenza, Silence la raggiunge. Non senza problemi e lungaggini ma la raggiunge
Per Silence Dio sta in minuscoli crocefissi incisi sommariamente e della grandezza di un bottone o in icone grandi quanto una zolletta di zucchero, artefatti piccoli, ideali per essere contrabbandati o nascosti, che sprigionano una potenza religiosa inaspettata. Sono i veri strumenti di questo racconto che mira a palesare l’evidenza di Dio senza farlo davvero.
C’è infatti nei momenti migliori di Silence un desiderio di credere e una sete di ricerca divina così evidenti, da far pensare che chi dirige (e ha cosceneggiato) il film fosse il primo a bramare una manifestazione del divino, a desiderare una ragione del silenzio di Dio. Non stupisce quindi che le domande per le quali il film non ha risposte siano tantissime, e spesso le stesse di altri film di Scorsese (il dubbio su che atteggiamento avere verso il fedele peccatore compulsivo alla ricerca di facili assoluzioni, non è diverso da quello verso il barbone pazzo che non fa altro che bere acqua di Al Di Là Della Vita).
Forse proprio per questo desiderio di credere Scorsese trova continuamente equivalenti religiosi nelle storie che racconta. Come sempre infatti i suoi protagonisti che fanno ammenda per i propri peccati (siano mafiosi pentiti che collaborano con la polizia o uomini d’affari truffaldini che patteggiano con l’FBI) finiscono in un limbo, un purgatorio che è meglio dell’inferno che hanno vissuto ma non realmente un paradiso. Silence non fa eccezione e il purgatorio rappresentato alla fine è degno dei momenti migliori della filmografia di questo regista, il dipinto di un’esistenza così permeata di divino da impressionare realmente anche il più ateo degli spettatori. E che il film riesca in questo proprio con gli strumenti e i trucchi del racconto è ancora più dissetante.
È questa una conquista spirituale più concreta ed evidente di quella che possono vantare molti capolavori, più intellettuali e meno personali, che ambiscono a raccontare la ricerca di divino nelle vite umane.