Siccità, la recensione
Con Siccità Virzì ha girato un film di un'umanità devastante, capace di prelevare qualcosa di quello che siamo dall'intimo e mostrarlo a tutti, la recensione
La recensione di Siccità, il film di Paolo Virzì presentato fuori concorso al Festival di Venezia
Questo film che fa riferimento ad un genere che non viene dalla nostra tradizione e che tuttavia è un lungometraggio che poteva essere scritto, diretto e interpretato solo e unicamente in Italia, racconta l’essere farsa della tragedia e gli sforzi inascoltati dei pochi a fronte della rumorosa cialtroneria dei molti, delle situazioni che paiono non cambiare mai e di noi, che balliamo sopra tutto ciò, che non smettiamo di essere noi durante le tragedie, che ci minacciamo di morte, ci uccidiamo ma anche ci offriamo dei panini mettendo un attimo da parte il fucile, che ci facciamo scherzi terribili, ci baciamo e ci riuniamo o non ci riuniamo abbracciando con un impeto vitale così desiderabile e sopito il grottesco che ci circonda, fingendo di non vederlo.
È fantascienza quella di Siccità ma è il nostro presente. Ci sono gli idrologi in televisione ma in realtà sono i virologi che abbiamo visto avvicendarsi, ci sono le piccole star dei social e una narrazione istantanea del presente così concreta e contaminata delle più profonde radici di questi atteggiamenti da essere subito universale, eterna. Nonostante in Siccità ci sia un senso costante di minaccia per una situazione che precipita, tutte le vite dei personaggi ci scorrono sopra, quasi fingendo che non esista il problema ma poi segretamente e sommessamente attendendo un raggio di sole che torni ad illuminare tutto, anche solo per un momento, nel suo opposto: nella pioggia. E questo bisogno così forte di un raggio di sole, che non viene mai espresso chiaramente, è la vera arma di un film italiano che contiene lo stato dell'arte del nostro mestiere (e che è recitato come non si vedeva da anni). Tutti, loro e noi, non possiamo non attenderlo sempre, ogni giorno e senza dircelo.