Sicario - Ultimo incarico, la recensione

Non ci sono dubbi che Sicaro - Ultimo incarico voglia essere un capolavoro, ne ha tutte le caratteristiche tranne la capacità

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Sicario - Ultimo incarico, in uscita il 21 aprile su Prime Video

Può esistere qualcosa come una brutta imitazione di buona scrittura?

Fino a ieri sì poteva dire di no.

Oggi invece è uscito Sicario - Ultimo incarico (titolo italiano che ammicca al film di Denis Villeneuve ma l’originale è The Virtuoso) e viviamo in un mondo in cui una pessima scrittura sul modello delle buone sceneggiature esiste. Tutto questo film di Nick Stagliano, scritto dallo stesso Stagliano con James C. Wolf ha infatti l’andatura del capolavoro a partire dalla sceneggiatura ma senza trascurare interpretazioni e regia. Tutto tarato su standard ambiziosissimi e costantemente incapace di essere alla loro altezza.
Tempi dilatati e riflessivi, fotografia desaturata con interni pieni di tagli di luce, uso molto parco dello score, ponderazione sul senso di una vita di crimine, sulla morte e l’omicidio, un passato con un peccato che tormenta il protagonista e un’idea di redenzione che aleggia… Stagliano ha visto tutto quel che c’era da vedere e capito cosa caratterizza un film sofisticato oggi, ma non lo sa rifare.

C’è anche una voce fuoricampo a impreziosire questo film pessimo, una voce fuoricampo del protagonista che, con il distaccato cinismo di un eroe noir, ci racconta la sua stessa avventura, il suo modo di procedere da virtuoso del mestiere di sicario, i rischi e le opportunità in un’azione che deve culminare con un omicidio, tutto alla rincorsa di White Rivers, coppia di parole enigmatiche che costituisce l’unico indizio sulla sua prossima vittima per conto della mala, interpretata qui da Anthony Hopkins in spolvero post-Oscar, ma sempre in una produzione umiliante. E siccome Sicario - Ultimo incarico pensa di essere il film definitivo, non mancherà di tagliare addosso a Hopkins un monologo enfatico da recitare in un cimitero, come fosse un film scritto da John Milius. Solo che non lo è, e anche il significativo e durissimo aneddoto non solo non è tale ma soprattutto non si inserisce in nessuna maniera nel ritmo e nell’andamento del film.

Il sicario che ha il cuore distrutto dall’aver ucciso una persona innocente per sbaglio (come in The Killer ma senza l’enfasi incredibile sugli assoluti di quel film) deve portare a termine un nuovo incarico mentre spinge ai margini del proprio cuore il dolore. Troverà una donna sul suo cammino, troverà delle vittime ognuna pessima (e molto armata) e dovrà farsi strada in una serie di intrecci che sembrano mettere a repentaglio il suo lavoro in primis. Tutto confusissimo e funestato da Anson Mount, protagonista senza qualità, eroe senza carisma, attore che spesso non sa proprio gestire il proprio corpo nell’inquadratura e che quindi, inevitabilmente, dà vita ad un personaggio anch’esso senza qualità. Ce ne vuole di cattiveria per dare proprio a lui un personaggio che si vorrebbe così complicato, sia freddo e inespressivo che poi tenero dentro.
Un finale totalmente demenziale con incredibile spiegone fuori luogo chiude la partita con una nota di divertente ridicolo. Se non altro.

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