Si accettano miracoli, la recensione

Senza un intreccio forte e facile da mettere in scena ma con aspirazioni di grande affresco Si accettano miracoli non ha quasi nulla del film precedente

Critico e giornalista cinematografico


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Il successo di Il principe abusivo ha allargato lo spettro di Alessandro Siani. Se nel primo film era molto concentrato sul napoletano e lo scontro che la parte più bassa e popolare di quella cultura produce contro il massimo dell'istituzionale, l'incursione burina in una favola classica fatta di principesse e castelli, in Si accettano miracoli ha altre ambizioni, perde il riferimento diretto alla favola classica a favore di un tono fiabesco più leggero che pervada tutto il film, tralascia le figure archetipiche o gli svolgimenti già noti per cercare qualcosa un filo più complesso. Così facendo, tuttavia, manca totalmente il bersaglio.

La scelta di non avere un intreccio narrativo che coinvolga i personaggi si rivela alla lunga perdente, sminuisce la comicità di Siani e leva personalità a ogni carattere. Dei tre fratelli protagonisti nessuno ha un'identità chiara e definita che ne agevoli la comicità. Non l'ha lo spietato tagliatore di teste convertito a buon paesano di Siani, non l'ha il prete di campagna di Fabio De Luigi e nemmeno la sorella con problemi matrimoniali di Serena Autieri (molto più decisiva come fruttarola burinissima con aspirazioni da ballerina nel film precedente). Non potendosi affidare al carattere dei personaggi ogni battuta è più generica, più poggiata sullo slapstick (aumentano vertiginosamente cadute e botte in testa) o sui caratteristi di contorno.
C'è una parrocchia in crisi e una truffa perpetrata per generare un po' d'incasso che però il Vaticano vuole verificare. Se si esclude una storia d'amore narrata in fretta e sommariamente con una fioraia cieca (!!!) altro non succede in più di due ore, una prolissità non supportata da ritmo che uccide ogni voglia di proseguire la visione.

Si scopre così che lontano da una caratterizzazione forte anche Alessandro Siani perde in capacità di sostenere le scene. Confinato in una generica bontà d'animo il suo Fulvio Canfora è facile a dimenticarsi, non diventa archetipo di nulla, non incarna nessuna tipologia umana riconoscibile nè, ma questo era chiaro, riesce a creare un personaggio inedito. Si accettano miracoli, scena dopo scena, crolla sotto i colpi di aspirazioni sovradimensionate e della volontà di mettere in scena un piccolo mondo più che dei personaggi o una storia (che prende il via decisamente troppo tardi).

La favola rimaneggiata con la commedia da comico televisivo era un'idea indubbiamente funzionale ha un rimescolamento delle solite carte, una trovata perfetta per separare Alessandro Siani dalla massa di altri comici che si trasferiscono nelle sale. Si accettano miracoli, non facendo scelte decise, stiracchia troppo entrambi i paradigmi: mette in scena uno scenario solo parzialmente fiabesco e non riesce ad essere davvero il motore di gag trascinanti in nessun momento.

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