Show Me a Hero: la recensione

L'ennesimo capolavoro televisivo dall'autore di The Wire: Show Me a Hero ci consegna un immenso Oscar Isaac e una storia che tutti dovrebbero conoscere

Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.


Condividi

Show me a hero and I'll write you a tragedy

Nella grande casa della storia della televisione, almeno una parete è stata costruita da David Simon, mattone dopo mattone, perla dopo perla. C'è qualcosa nelle opere di questo straordinario autore, una forza quasi naturale nel suo storytelling che trascende la necessità di conciliare intrattenimento da un lato e documentarismo dall'altro, che ha un linguaggio tutto suo nel raccontare la vita, la morte e tutto quello che succede nel mezzo. Non fa eccezione Show Me a Hero, miniserie basata sull'omonimo saggio di Lisa Belkin, ultimo capitolo di quel matrimonio creativo sviluppato da anni con la HBO.

Una lezione di storia, sociologia, politica, umanità, dalla scrittura e realizzazione impeccabili che conferma Oscar Isaac come grandissimo interprete. Sulle note di Bruce Springsteen, e senza rinunciare al montaggio corale che caratterizza il finale di tutte le sue opere, l'autore ci ha consegnato l'ennesima perla. Appoggiandosi ad un grande cast (da citare inoltre Wynona Ryder, Carla Quevedo, Jon Bernthal e una straordinaria Catherine Keener), alla regia di Paul Haggis e alla co-sceneggiatura di William F. Zorzi, Simon ha contribuito all'ennesimo capolavoro.

Dal 1987 al 1994, si racconta l'infelice esperienza politica del democratico Nick Wasicsko, sullo sfondo di una pesante e sofferto dibattito sulla realizzazione di alloggi popolari nella città di Yonkers. Nell'immobilità degli amministratori, che non adempiono a quanto prescritto dalla legge, interviene il giudice Sand, che obbliga i politici a darsi da fare a meno che la città non voglia incorrere in pesanti multe e andare verso il default. Sono tempi di campagna elettorale, il giovanissimo (28 anni) Wasicsko si candida e, anche favorito da un clima di contestazione e malcontento popolare, realizza il proprio sogno diventando primo cittadino e sobbarcandosi il carico della poltrona più importante nel momento più drammatico.

La vicenda si dipana attraverso sette anni e sei episodi densi di avvenimenti e tematiche. Non che siano pesanti, ma la grandezza e l'emblematicità che questa vicenda respira ad ogni secondo la rendono un'esperienza che merita un grado elevato di attenzione e che sa come ripagare. Su tutto emerge l'impianto giornalistico, curato, misurato di Simon (che da quell'ambiente proviene), che concede pochissime sbavature al puro intrattenimento o ad una caratterizzazione sbilanciata dei personaggi in scena. Eppure, anche ad esempio nella rappresentazione indubbiamente negativa del consigliere Henry Spallone (Alfred Molina), non viene mai meno il dubbio che Simon stia cercando di fare qualcosa di più che farci appassionare al povero Wasicsko, e che stia invece rappresentando un modo d'essere, un emblema che smette di essere il personaggio di una storia degli anni '80 per essere qualcosa di più.

Fin da The Wire i personaggi di Simon sono talmente grandi – non nel senso di importanti o di influenti – da definire simbolicamente l'intera categoria che rappresentano. E così sono le sue storie. Show Me a Hero non è il racconto fine a se stesso di una poco brillante parentesi socio-politica americana, è la fotografia del meccanismo decisionale dei centri di potere, delle psicologie di massa, delle contraddizioni del modello occidentale, di tutto ciò che siamo ed eravamo. C'è un'idea di esclusione, mista a diffidenza, dei gruppi più disagiati, che poi corrispondono fino a coincidere con certe minoranze etniche. C'è il pensiero e il modus operandi tipicamente NIMBY (not in my back yard, espressione ad un certo punto usata apertamente) di chi preferisce l'intransigenza alla convergenza, l'esclusione alla condivisione.

E naturalmente c'è uno sconfortante quadro politico in cui gli esponenti di partito si appiattiscono ora su una semplice noncuranza, ora su contrasti che non hanno nulla a che vedere con la cura della cosa pubblica o con la morale personale – sarebbe già qualcosa – ma che tengono solamente conto del consenso occasionale di una folla istintiva. È solo la punta dell'iceberg di una vicenda ricca di sfumature e che ha molto da raccontare. Wasicsko in tutto questo è l'eroe del titolo, soverchiato da interessi di vario tipo, frainteso, dimenticato, odiato, spezzato come individuo. E la pietà che inevitabilmente proveremo per lui è una pietà universale per il ruolo che rappresenta, quello di chi ha la verità, la ragione e l'innocenza dalla propria, ma che finisce stritolato dal sistema, non perché qualche "cattivo" dall'alto ha deciso così, ma perché la debolezza e le contraddizioni, sembra dirci Simon, fanno parte di noi e della nostra società, e dovremo imparare a confrontarci con esse o non sopravviveremo.

Continua a leggere su BadTaste