Shirley, una donna alla Casa Bianca, la recensione
La storia di Shirley Chisholm, la prima donna afroamericana eletta al congresso, e di cosa abbia richiesto cambiare una mentalità
La recensione di Shirley, una donna alla Casa Bianca, il film di John Ridley disponibile su Netflix dal 22 marzo
Shirley Chisholm è stata un deputato del congresso, la prima donna afroamericana ad essere eletta, e il film racconta uno snodo importante della sua vita politica, uno solo, finito con un nulla di fatto, come mezzo per raccontare sia il clima dell’epoca che il carattere indomito del personaggio, che ancora le altre persone (con dovizia di cartelli finali con i dettagli di ognuno) che l’hanno aiutata e sostenuta. Tutti di immacolata virtù e rassicurante sicurezza nei propri ideali e in un’onestà intellettuale che sfiora la magnificenza.
Quello che questi film vogliono dire è nobile, la maniera in cui lo dicono no, è manipolatoria, perché trasformano la storia e la politica in uno scontro manicheo di virtù cardinali da che, lo sappiamo, è il regno dell’ambiguità. Per creare nuovi miti scrivono dei santini ed erigono monumenti, chiedono di non pensare ma accettare una visione già confezionata e semplicistica. Non bisogna mettere in discussione niente se non l’egemonia bianca sulla politica. Shirley racconta con un impegno blando quanto sia duro cambiare un paese ma lo fa sembrare facile, motivato da buoni discorsi e dal candore d’animo. Mistificazione allo stato puro. È così dozzinale la maniera in cui questo film di John Ridley vuole rassicurare e massaggiare il suo pubblico, assicurandogli che la politica è un luogo giusto e che nonostante possano esserci delusioni, dentro il cuore di tutti, anche dei razzisti, c’è una persona migliore che lotta per uscire, che ci sarebbe da offendersi.