Shin Godzilla, la recensione

Inedito, ripensato, moderno e soprattutto sensato, Shin Godzilla è un gioiello di grande cinema

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
C’è una stanca consuetudine con la quale ci si accosta ad un nuovo film giapponese di Godzilla, l’ennesimo sequel, l’ennesima ripetizione di una storia che aveva il suo senso catartico negli anni ‘50, rimettendo in scena in maniera fantasiosa la vera devastazione nucleare subita, le paure delle radiazioni, i mostri della guerra. Questa stanca consuetudine è spazzata via alla prima comparsa della creatura in Shin Godzilla. Il mostro, nel suo formarsi una volta emerso dalle acque, è disegnato, cammina, si muove e crea problemi in maniera completamente diversa, non è più “quella cosa lì”, non è più la stanca metafora nucleare, è un mostro che distrugge tutto e, per la prima volta al cinema, mette in scacco il governo non le persone.Per quanto incredibile il protagonista di questo nuovo Godzilla è la classe dirigente giapponese

Per quanto incredibile il protagonista di questo nuovo Godzilla è la classe dirigente giapponese. Shin Godzilla è un film che si svolge per la maggior parte nella stanza del primo ministro, fatto di decisioni, catene di comando e possibili contromosse vissute non come strategie d’azione ma come effettiva possibilità di uno stato di combattere una simile minaccia. Sembra noiosissimo a dirlo, invece come in una simulazione questa visuale così pornografica dello stato giapponese, dei rapporti con l’estero (appena è chiara la minaccia rappresentata da Godzilla i governi di tutto il mondo cercano di levare al Giappone il comando delle operazioni sul proprio suolo) e del difficile rapporto con la propria storia di disastri è appassionante e sentimentale. Rendere il disastro una possibilità per esplorare lo spirito di un paese attraverso la sua classe dirigente senza mitizzarla come avrebbe fatto Hollywood. Un’impresa eccezionale che di fatto rimette al suo posto qualsiasi remake straniero e pone l’epica nipponica di nuovo al centro del mito di Godzilla.

Chiunque frequenti il cinema e l’animazione giapponesi sa che dal secondo dopoguerra questi traboccano di apocalissi, di fine del mondo, di distruzione totale imminente, avvenuta o osservata nel suo farsi. L’apocalisse è la paura attraverso la quale la narrativa moderna nipponica elabora le sue storie. E proprio da una grandissima storia apocalittica arriva l’autore di Shin Godzilla. Hideaki Anno è l’autore di Neon Genesis Evangelion, la più importante apocalisse animata e disegnata della cultura popolare giapponese degli ultimi 20 anni e ora nel portare in scena Fukushima, i terremoti e gli tsunami subiti dal paese negli ultimi anni (questo in definitiva fa il nuovo Godzilla, quelle immagini vuole evocare, in quella maniera bisogna rimediare al suo passaggio) riesce a girare uno dei film più sorprendenti, inconsuenti e apocalittici di sempre. Uno che rivede la maniera in cui l’apocalisse la raccontiamo se non proprio il motivo per cui la raccontiamo.

Se ci siamo assuefatti al rischio che “tutto finisca”, che il mondo arrivi al termine o anche solo che la vita come la conosciamo giunga a conclusione, Shin Godzilla rimescola le carte e trova come rendere tutto ciò di nuovo spaventoso e attuale. E lo fa con le armi del cinema: cambiando punto di vista. Guardando tutto dalle stanze del potere (l’ultimo luogo dal quale potevamo pensare fosse interessante) l’arrivo del mostro Godzilla è un modo di svelare l’inadeguatezza del potere nipponico, la pavidità della classe dirigente e tutti i modi in cui, in questa storia di cui è protagonista, non riesca a mai farsi eroe. Eppure in questa accusa a tutto campo Anno lascia spazio per un finale epico in cui quel che minacciano di fare gli altri stati, una volta rivelato, è un annuncio così terribile e storicamente inaccettabile da far salire i brividi lungo la schiena anche a chi non è giapponese e scatenare un patriottismo, finalmente, accettabile. Almeno fino ad un’ultima impeccabile e tragica inquadratura.

Continua a leggere su BadTaste