Shin Godzilla, la recensione
Inedito, ripensato, moderno e soprattutto sensato, Shin Godzilla è un gioiello di grande cinema
Per quanto incredibile il protagonista di questo nuovo Godzilla è la classe dirigente giapponese. Shin Godzilla è un film che si svolge per la maggior parte nella stanza del primo ministro, fatto di decisioni, catene di comando e possibili contromosse vissute non come strategie d’azione ma come effettiva possibilità di uno stato di combattere una simile minaccia. Sembra noiosissimo a dirlo, invece come in una simulazione questa visuale così pornografica dello stato giapponese, dei rapporti con l’estero (appena è chiara la minaccia rappresentata da Godzilla i governi di tutto il mondo cercano di levare al Giappone il comando delle operazioni sul proprio suolo) e del difficile rapporto con la propria storia di disastri è appassionante e sentimentale. Rendere il disastro una possibilità per esplorare lo spirito di un paese attraverso la sua classe dirigente senza mitizzarla come avrebbe fatto Hollywood. Un’impresa eccezionale che di fatto rimette al suo posto qualsiasi remake straniero e pone l’epica nipponica di nuovo al centro del mito di Godzilla.
Se ci siamo assuefatti al rischio che “tutto finisca”, che il mondo arrivi al termine o anche solo che la vita come la conosciamo giunga a conclusione, Shin Godzilla rimescola le carte e trova come rendere tutto ciò di nuovo spaventoso e attuale. E lo fa con le armi del cinema: cambiando punto di vista. Guardando tutto dalle stanze del potere (l’ultimo luogo dal quale potevamo pensare fosse interessante) l’arrivo del mostro Godzilla è un modo di svelare l’inadeguatezza del potere nipponico, la pavidità della classe dirigente e tutti i modi in cui, in questa storia di cui è protagonista, non riesca a mai farsi eroe. Eppure in questa accusa a tutto campo Anno lascia spazio per un finale epico in cui quel che minacciano di fare gli altri stati, una volta rivelato, è un annuncio così terribile e storicamente inaccettabile da far salire i brividi lungo la schiena anche a chi non è giapponese e scatenare un patriottismo, finalmente, accettabile. Almeno fino ad un’ultima impeccabile e tragica inquadratura.