Shazam! Furia degli dei, la recensione

Al secondo film Shazam! Furia degli dei conferma quanto di buono visto nel primo, anche troppo, creando un film uguale

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Shazam! Furia degli dei, al cinema dal 16 marzo

Con il primo film di Shazam!, il regista David F. Sandberg aveva creato una dimensione spensierata per ragazzi all’interno dell’universo DC: la missione era chiara e l’aveva portata a termine con decenza. Ora il secondo film ripete esattamente la medesima formula, con il merito di non rovinare quanto di buono fatto ma anche senza nessuna ambizione di migliorare, anzi replicando soluzioni, idee e trovate, come in un nuovo episodio di una serie tv.

Shazam! - Furia degli dei parte dal presupposto più classico possibile: se il film precedente ha raccontato l’origine di un gruppo di supereroi ora questo lo metterà in crisi per cementarne gli ideali e la fiducia in sé. Questa versione molto familiare di una Justice League, composta da fratelli e sorelle, è cinema per ragazzi dei più classici, fatto di prime cotte, aspirazioni, piccoli segreti che qualcuno si vergogna a confessare, aspettative per grandi domani delle più grandi e conflitti tra i maschi. Cinema per ragazzi fatto bene, si intende, ma non così bene da poter essere anche buono per tutti. Qualcosa da dire ce l’ha, al di là della sua storia, difficilmente però può interessare chi non è nell’età adatta e difficilmente può scatenare quelle sensazioni in chi l’età l’ha superata.

Il team di scrittura è quasi lo stesso ma non sembra ci sia stato lo stesso impegno. Al netto di una serie di interazioni tra ragazzi che funzionano bene, Shazam! anche nel secondo film continua a non trovare quel tipo di scrittura agile che fa funzionare i cinecomic migliori. Solo all’inizio vediamo prima il protagonista dall’analista (scena in cui compare di nuovo la bambola di Annabelle, film diretto da Sandberg, nello sfondo) e poi parlare con la sorellastra che illustra a lui i suoi conflitti psicologici, così da spiegarli in realtà a noi. Poco dopo i restanti personaggi si racconteranno a vicenda le proprie vicissitudini personali, come se non le conoscessero già, sempre come espediente pigro per dirle a noi.

Non è solo questo però. A fronte di un ottimo ritmo e un generale centrato senso da high school americana che dà al film un piacevolissimo andamento, è evidente una certa stanchezza realizzativa dal fatto che le soluzioni umoristiche sono quasi sempre le stesse. Se non è la sfrontatezza di Zachary Levi (la cui versione super del protagonista è inspiegabilmente completamente diversa, nel carattere e negli atteggiamenti, da quella reale) è la costruzione di un crescendo epico annunciando con una sentenza solenne che poi regolarmente non arriva, anzi è tradito da uno stacco di montaggio che ci mostra l’opposto: presentare i protagonisti come i migliori e poi farli vedere mentre si comportano da ragazzini. A oltranza.

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