Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli, la recensione
La Marvel sembra molto meno interessata a Shang-Chi di quanto non sia interessata a coinvolgere il mercato cinese
Tanto Mulan si dimostrava l’imitazione scadente di un wuxia pian cinese, quanto invece Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli inizia con un prologo che ha il sapore del wuxia fatto bene. È sempre un’imitazione, molto generica nei temi e nelle coreografie, ma almeno un’imitazione ben fatta. Così, mettendo subito in primo piano Tony Leung (volto e corpo cardinale della storia del cinema di Hong Kong degli anni ‘90 e 2000, un monumento vivente) il film annuncia la sua doppia natura che verrà confermata dai dialoghi tanto in cinese quanto in inglese (e da noi in cinese e in italiano). Questa è la misura di quanto la Marvel (e la Disney dietro di lei) si sia allungata per arrivare dall’altra parte del mondo: è pronta a distribuire anche in patria un film i cui dialoghi sono quasi per metà sottotitolati.
Detto così pare poco, ma in realtà è molto più complicato e porterà tutti molto molto lontano, che è un problema.
Così, nonostante spesso compaia la consueta ironia Marvel (questa volta grazie ad Awkwafina, che pare poter fare di tutto), alla fine il film non ha il ritmo dei Marvel Studios, è pesante e faticoso nel suo passare sempre sui medesimi punti, temi e questioni. E non aiuta Simu Liu, protagonista con i movimenti e la rapidità giusta per l'azione complicata, ma mai davvero in parte e mai davvero capace di attirare il pubblico. Anche il ritorno di un villain-macchietta di un film precedente è pesantissimo quando in realtà poteva essere leggero e rapido. Alla fine quando tutta la trama arriva a Ta Lo (la suddetta Wakanda d’Asia che noi vediamo in versione Mondo perduto, con animali in CG come se li regalassero) il film è affaticato e anche il grandissimo scontro finale è sfiatato e mai appassionante, che per la tradizione dei film Marvel è un peccato irredimibile.
È strano a dirsi per il primo film Marvel Studios che fa bella mostra in almeno un paio di scene (tra cui quella del bus anticipata nella promozione) di arti marziali cinematografiche di livello serio, ma Cretton dimostra di non sapere dirigere l’azione. Quando non ci sono le coreografie di Andy Cheng e del compianto Brad Allan (sia coordinatori che coreografi entrambi con un passato di lavoro con Jackie Chan) e la grandezza dell’azione ha la “dimensione Marvel” (quell’assurdo caos distruttivo che comprende centinaia di persone, esseri, mostri, palazzi e magia) il film si perde privo di una linea da seguire. Le persone si affrontano e accadono incredibili evoluzioni e spettacolari esplosioni d’azione ma nulla ci fa appassionare, nulla ci tiene avvinti.
Sono solo personaggi che si menano con oggetti magici.