Shadow of the Beast, la recensione

Un remake in tutto e per tutto: la recensione di Shadow of the Beast

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Nell’era delle riedizioni in HD e dei reboot che tentano di rimescolare le carte in tavola, Shadow of the Beast è in tutto e per tutto un remake, un vero e proprio rifacimento, praticamente da zero, di quello che fu un grande classico del passato. L’opera di riscoperta e riproposizione ha un nome e un cognome ben preciso: quello di Matt Birch, fondatore di Heavy Spectrum Entertainment e, evidentemente, grandissimo fan dell’originale pubblicato su Amiga nel 1989.

Il suo amore per la serie si è palesato, quasi con un pizzico d’imbarazzo, sin dal momento in cui il giovane sviluppatore presentò ufficialmente la sua creatura durante la gamescom del 2013. L’immagine di un appassionato che, attorniato da un manipolo di nerd fomentati dalla stessa passione, si mette in testa di rinverdire e resuscitare una leggenda, che con ogni probabilità ne alimentò sogni e fantasie giovanili, è indiscutibilmente romantica. Del resto, stiamo parlando di un titolo che pur non incontrando un grande successo di pubblico, seppe fare del comparto artistico uno dei suoi punti di forza.

[caption id="attachment_156077" align="aligncenter" width="508"]Shadow of the Beast screenshot 1 Il gioco presenta diversi finali, ognuno sbloccabile raggiungendo un determinato punteggio o limitando il più possibile il numero di game over.[/caption]

In questo, lo Shadow of the Beast “due punto zero”, è assolutamente fedele al lontano progenitore. Aarbron è una bestia feroce plasmata e plagiata dal perfido Maletoth che, assoggettando una terra dopo l’altra, sta trasformando il regno di Karamoon nel suo personale dominio di terrore. La situazione si ribalta quando il feroce servitore uccide il padre di cui non ha memoria, scatenando un vortice di reminiscenze che dà un nuovo scopo alla sua esistenza: vendicarsi del dispotico mago. Il plot, a grandi linee, è lo stesso del 1989. Cambia qualche dettaglio, ma la sceneggiatura non presenta particolari variazioni, né si arrischia in introspezioni psicologiche dei personaggi tirati in ballo.

A lasciare semplicemente a bocca aperta, al contrario, è l’intrigante caratterizzazione del mondo di gioco. Già su Amiga, questo recondito mondo fantasy suggestionava con i suoi panorami e le sinistre creature che si opponevano al nostro. Gli artisti di Heavy Spectrum Entertainment, in questo senso, hanno svolto un lavoro irreprensibile, ampliando a dismisura il materiale originale. Sebbene il character design di Aarbron non ci abbia convinti appieno, la bestia si muove in scenari pulsanti di vita e ricchi di fascino. I nemici che vi fronteggeranno manifestano una sorprendente coerenza con l’habitat, lasciando supporre i legami tra le varie razze che, loro malgrado, si contendono la sopravvivenza nel caos che regna sotto la dominazione del malvagio Maletoth. A stupire è la perfetta armonia con cui si fondono elementi fantasy, ad altri di derivazione sci-fi. Monitor e creature robotiche, convivono con cavalieri bardati nelle loro armature e mostri che sfruttano poteri magici.

Inoltre, raccogliendo i collezionabili, scovandoli nelle ambientazioni, si sbloccheranno alcuni extra, tutti utili per ampliare ulteriormente la storia, grazie a numerosi dettagli che spiegano e contestualizzano quanto mostrato durante le brevi cut-scene che intermezzano i livelli. Ne viene fuori un comparto artistico d’impatto, a tratti stupefacente, certamente convincente. Il merito è anche di una colonna sonora, degna dell’originale, in grado di immergere perfettamente il videogiocatore nelle atmosfere e nelle ambientazioni che dovrà attraversare Aarbron per compiere il suo destino.

[caption id="attachment_156079" align="aligncenter" width="508"]Shadow of the Beast screenshot 2 Al termine di ogni combattimento, verrete premiati con un certo numero di punti, poi spendibili nel ricco negozio che, oltre a permettervi di potenziare le statistiche di Aarbron, tra i suoi articoli presenta anche la versione originale per Amiga di Shadow of the Beast interamente giocabile.[/caption]

Purtroppo, a conti fatti, quasi tutti i pregi di Shadow of the Beast finiscono qui. Sia chiaro: l’aspetto prettamente ludico della produzione Sony Interactive Entertainment è tutt’altro che deplorevole, ma non spicca in alcun modo, tradendo, anzi, diverse sbavature che mortificano l’esperienza. Il gioco è fondamentalmente un picchiaduro a scorrimento bidimensionale che si concede qualche rapida escursione nel genere dei platform, non disdegnando di proporre un pizzico di backtracking. A scanso di equivoci, va chiarito perentoriamente: non pensate nemmeno per un secondo ai Metroidvania. Il level design è quanto di più lineare possiate immaginare. La quasi totalità dei sette livelli di cui si compone l’avventura non propone alcun sentiero secondario, nonostante certe ambientazioni, oltre a nascondere qualche location, incoraggino l’esplorazione, proponendo giusto un paio di bivi. Quando non si salta e non ci si arrampica per le pareti, Aarbron deve affrontare gli avversari che, da ambo i lati ma in fila indiana, lo fronteggeranno. Il control scheme è piuttosto ricco di mosse e attacchi speciali, molti dei quali svuotano l’indicatore della furia che può essere ricaricato uccidendo gli avversari, ma nonostante l’apparente profondità, i limiti del combat system non tardano a manifestarsi.

"Shadow of the Beast è a tutti gli effetti un remake dell’originale per Amiga"

Tutte le problematiche, che influenzano negativamente anche le fasi platform, sono da ricondursi ad animazioni legnose, e per nulla fluide, che rendono i combattimenti una sequela di mosse che non possono concatenarsi in alcun modo tra loro, dando vita a scontri sincopati in cui, se non stordendo continuamente gli avversari o facendo un uso intensivo dei poteri speciali, è praticamente impossibile difendersi adeguatamente. Il ritmo, e la conoscenza dei pattern d’attacco, è fondamentale, certo, ma l’imprecisione e lentezza del sistema di controllo fanno sì che le battaglie diventino spesso e volentieri frustranti. A peggiorare la situazione, gli scontri con i boss di fine livello per nulla memorabili, tutt’altro che epici e paradossalmente facili se confrontati ai normali alterchi con gli sgherri che, di contro, vi metteranno continuamente in difficoltà grazie alla loro superiorità numerica. Sebbene ogni boss proponga situazioni di gioco uniche e specifiche (soprattutto quando dovrete vedervela contro Maletoth), ogni battaglia vi scorrerà addosso senza lasciare particolari emozioni e senza impensierirvi più del dovuto. Tra i difetti della produzione, infine, è impossibile non citare anche una longevità piuttosto contenuta. Tra punteggi da migliorare, finali multipli e collezionabili di vario genere, il replay value è piuttosto alto, verissimo, ma sette livelli, completabili in una ventina di minuti ciascuno, ci è comunque parso poco.

[caption id="attachment_156078" align="aligncenter" width="508"]Shadow of the Beast screenshot 3 Il punteggio è un aspetto tutt’altro che secondario nell’economia del gioco. Le classifiche online si aggiornano di continuo, mostrando quali amici hanno saputo fare meglio di voi nei vari livelli.[/caption]

Shadow of the Beast è a tutti gli effetti un remake dell’originale per Amiga. Ne ripropone l’ottimo contesto narrativo e anche il gameplay, bipartito in fasi esplorative e action, rispetta i canoni della saga. Purtroppo, il combat system, tutt’altro che coinvolgente e al passo con i tempi, ha tradito e infranto il sogno di Matt Birch. È pur vero che i nostalgici troveranno più di un buon motivo per rivestire i panni di Aarbron, il gioco del resto offre diversi momenti riusciti, ma le nuove generazioni sono destinate a non restare particolarmente impressionate dalle gesta di questa bestia in cerca di vendetta.

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