Servant: la recensione dei primi tre episodi

L'esordio di Servant, la serie prodotta da M. Night Shyamalan per Apple TV+, inquieta e coinvolge facendo leva su alcuni topos della narrativa orrifica

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La famiglia come coacervo di terrori, il nido domestico come spazio allucinatorio: questo mostrano allo spettatore i primi tre episodi di Servant, la serie prodotta da M. Night Shyamalan per la piattaforma Apple TV+. Un racconto da brivido, che s'insinua sotto la pelle e va a solleticare timori e fobie legati alla genitorialità, al rapporto di coppia e, perché no, a quel conflitto di classe già sapientemente enunciato nel titolo.

Sebbene il nome di Shyamalan sia stato usato come magnete per l'attenzione del pubblico, Servant è stata in realtà creata e scritta nella sua interezza da Tony Basgallop (Hotel Babylon). La storia ruota attorno a Dorothy (Lauren Ambrose) e Sean (Toby Kebbell), una ricca coppia di Filadelfia che ci vengono inizialmente presentati come freschi genitori. Lei è una popolare giornalista televisiva, lui un rispettato consulente culinario che collabora con i migliori ristoranti. La coppia vive in una casa elegante ma, a tratti, inaspettatamente cigolante.

Il loro matrimonio non è esente da crepe, che vengono a galla pian piano che scopriamo la reale situazione che i due stanno vivendo: Dorothy e Sean stanno in realtà elaborando la morte del loro bambino, e la donna in particolare sta vivendo il lutto attraverso l'interazione con una cosiddetta bambola reborn, effigie inquietantemente accurata di un neonato che tratta come se fosse il suo defunto neonato. In casa arriva persino Leanne (Nell Tiger Free), baby-sitter di 18 anni, che inizia a prendersi cura del bambolotto con le stesse premure riservategli da Dorothy.

Nell'ancora scarno catalogo di Apple TV+, Servant è indubbiamente il titolo più oscuro e angosciante, che pone continuamente quesiti allo spettatore: la vicenda è filtrata da un punto di vista distorto e soggetto ad allucinazioni? Sono in corso cose soprannaturali in casa Turner? Siamo di fronte a qualche fenomeno religioso o miracoloso? O abbiamo a che fare con qualcosa di più razionale, magari a una perfida e lucida pianificazione? È ancora presto per tirare le somme, ma tutte le ipotesi finora elencate sembrano avere appigli più o meno validi nelle tre puntate a oggi disponibili sulla piattaforma.

La performance di Ambrose nel ruolo di Dorothy è intensa, imperniata sul sorriso che può sfoggiare una donna abituata a vivere davanti a una telecamera, mentre Kebbell articola la sua prova su corde più delicate e inaspettate, laddove il suo Sean evita molti dei cliché più familiari legati agli uomini in questo genere di situazioni. Irriconoscibile rispetto ai regali panni indossati come Myrcella in Il Trono di Spade, Free rende la giovane Leanne una figura malinconica, enigmatica e totalmente imperscrutabile. Rupert Grint si inserisce nel gruppo di protagonisti nel ruolo del fratello di Dorothy, aggiungendo una vena di umorismo secco e diretto alla sceneggiatura.

Ciò in cui Servant sembra, almeno per ora, meno efficace è passare al livello successivo di inquietudine, che le consentirebbe di ascendere dallo status di efficace esercizio stilistico a qualcosa di più profondo e segnante. Per adesso, possiamo certo definirla inquietante, ma forse non particolarmente spaventosa. La qualità degli ingredienti di base - dal citato cast al nitore delle inquadrature, tutte perfettamente studiate e intrinsecamente narrative - ci fa comunque ben sperare per il futuro, e la curiosità di vedere come i topos dell'horror verranno declinati nel prosieguo della serie è più che mai viva.

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