Servant 3x10 “Mamma”: la recensione del finale di stagione
Gran finale di stagione per Servant con un colpo di scena potentissimo che fa decollare la serie verso una quarta parte promettente
Un finale di stagione per Servant diviso in due. La prima parte chiude le tutte le linee tracciate nelle precedenti nove puntate. È piuttosto statica e dialogante. Poi all’improvviso arriva Zio George e dichiara "l’inizio della fine". In quel momento sembra iniziare la quarta stagione: ovvero quella dell’apocalisse o, per la famiglia Turner, della verità.
Servant è una serie sulla morte
La sequenza arriva potentissima sul finale di una sequenza di almeno 5 episodi di altissimo livello. Il parallelo tra il corpo morto del bambino e la casa in continua decomposizione con cadaveri carbonizzati tra le mura, vermi, api, e crepe che annunciano un crollo imminente è ormai il principale motivo horror. Incredibile a dirsi funziona ancora dopo un totale di 30 episodi.
Non c’è alcun purgatorio allora se si può morire. Se invece ci si può solo ferire per poi guarire… si ritorna in quella dimensione sospesa tra la vita e la morte che ha fatto parecchio teorizzare i fan.
Una terza stagione ottima, ma non come la prima
Al netto di quest’ottima puntata, questa stagione di Servant non raggiunge le vette di minimalismo horror della prima, ma si avvicina parecchio. Stacca di netto la seconda, ben più fiacca, e posiziona il finale di serie in pole position per fare bene.
Un plauso va tributato ai registi che si sono susseguiti, in particolare a Ishana Shyamalan, figlia di M. Night, che condivide totalmente il talento per la messa in scena del padre. È lei la grande sorpresa con una sensibilità fuori dal comune per la ricerca di modi diversi per mostrare le solite cose. Con pochissimi elementi da gestire e tante situazioni che si ripropongono simili, non c’è mai il senso di già visto. Basta un’angolatura diversa per cambiare completamente il senso di quello che sta accadendo. Basta un cancellino chiuso sulle scale per farci sentire oppressi come se la casa stesse congiurando insieme alla ragazza. Un pesce delizioso, impiattato con maestria, al posto di essere un cibo servito per accoglienza sembra l’oggetto di un rituale mistico.
Una lenta ma inesorabile evoluzione
Parte da un innesco così piccolo: una famiglia deve processare il dolore della perdita di un figlio. Servant si è evoluta amplificando la sua portata: dal dramma intimista all’horror apocalittico, perché il piccolo nido che sta per crollare sembra sempre di più il mondo intero. Malattie, conflitti, estremismi religiosi, minacciano la sicurezza di cui ci si illude circondandosi da occhi indiscreti. I grandi sconvolgimenti della realtà non sempre avvengono con un boato, a volte assomigliano a un suono soffocato ma persistente.
Peccato però per i senzatetto discepoli di Leanne che assediano la casa: interessanti nella prima parte, poi ridotti a uno sfondo. Ogni volta che entrano in scena cala la tensione. Come se non sapessero che farci con loro. Solo che adesso che ci sono vanno mostrati ogni 20 minuti per non farli dimenticare. Possono essere una presenza un po’ sfinente dato che stanno sempre ai posti di blocco senza mai partire veramente.
Tra vette particolarmente alte (come Dorothy che tiene in mano Jericho-bambola gridando di non poter ricominciare tutto da capo) e altre meno ispirate, Servant naviga su una media totale di altissima qualità. Anche gli episodi filler (come la sottotrama dei capelli) sono accettabili negli equilibri generali. Quello che non potrà venire tollerato è però un finale sbagliato. È ora di dare risposte e di chiudere la partita con gli ultimi 10 episodi. Prolungare ancora la storia significherebbe tirare troppo la corda sia della pazienza che della credibilità.
Per questo la terza stagione con le sue molte emozioni è sembrata trattenersi in diversi frangenti. Probabilmente sta posizionando le pedine al posto giusto per darci il crescendo finale di terrore e risoluzioni. Non vediamo l’ora.
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