Servant 3×04, “Anello”: la recensione

Nella quarta puntata di Servant l'adolescenza diventa orrore mentre emerge in Leanne una sopita sessualità e lo specchio diventa un nemico.

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Spoiler Alert
La casa dei Turner va messa al sicuro. La stessa cosa, pare, va fatta con la terza stagione di Servant. Ogni passaggio di episodio in episodio è accuratamente dosato, limitando la progressione degli intrighi e configurandosi sempre di più come un’antologia di episodi strettamente legati tra di loro per unità di spazio e tempo, ma meno per continuità. Si consolida in parallelo quello che è stato fatto negli anni passati per portare la storia nel punto di lancio perfetto per le successive stagioni. Una transizione comprensibile che deve però finire urgentemente.

Sean ha ripreso il suo lavoro di cuoco a tempo pieno. La famiglia cerca di ritornare alla frenetica normalità. Dorothy riappare in televisione facendosi assegnare un primo semplice servizio. Nel frattempo Julian è lontano e Tobe rimette piede in cucina per aiutare il suo capo insieme a una nuova ragazza. Leanne osserva spaesata prendendosi cura di Jericho. I suoi desideri e le sue ansie, così forti e legati ai suoi poteri, esploderanno in un sabotaggio di tutti i propositi di serenità.

L'episodio "Anello" di Servant è stilisticamente poco ispirato

Molto meno appassionante rispetto ai primi due episodi (la prima ora), questo secondo blocco usa una struttura piuttosto chiusa. Non si apre con cliffangher che rimandano alla settimana successiva, chiude in trenta minuti gran parte delle trame che apre. Si sottintende una certa sovrabbondanza di tempo da occupare (10 episodi sono evidentemente troppi) così da doverlo riempire di eventi non strettamente necessari. Il "problema" che si crea nell'incipit è usato in favore dell’intrattenimento immediato rendendo i fatti non strettamente necessari al quadro generale, ma fondamentali per quel singolo capitolo.

Quando Shyamalan imprime la sua mano seppur come supervisore si percepisce; quando è distante dai registi che portano avanti il suo lavoro, si vede in ugual modo. Nel caso specifico siamo di fronte a un punto stilisticamente poco ispirato e convenzionale. Brilla invece la costruzione su carta della sceneggiatura, che accumula un apparente nulla salvo dimostrare all’ultimo che quelle immagini di normalità non erano casuali. In un attimo il climax decolla ed esplode nei pochi minuti finali che offrono shock e divertimento, anche se riprese senza particolare estro. Perché ormai in Servant tutto è così sparato al massimo da raggiungere un godimento puramente fisico e molto meno intellettuale.

Servant ci porta nella mente di Leanne

Abbiamo già parlato nelle scorse recensioni dell'accesa sensorialità della serie, che si alimenta di un aspetto tattile pronunciato. I dettagli e i suoni che normalmente ci portano a sentire nelle ossa i tagli o gli scricchiolii della materia, si rivelano ora essere parte della soggettività di Leanne.

In questa puntata siamo infatti totalmente nella sua testa, con tutte le paranoie, le ansie, e le gelosie del caso. Continua l’esercizio del dubbio: la frenesia in cucina è surreale perché non è vera. Semmai è filtrata attraverso l’esperienza della ragazza che osserva, sempre in mezzo ai piedi, quello che lei crede stia succedendo. 

Servant episodio 3 LeanneRitorna il senso di colpa cattolico\mistico inflitto dalla setta e speriamo lo valorizzino maggiormente nelle prossime puntate, soprattutto per via dell’accettazione della propria dimensione di ragazza/adolescente da parte di Leanne. Una giovane dalla sessualità che sta emergendo portando con sé sempre più turbamento. Il cambio di abiti imposto da Dorothy che è sempre di più una sorta di mamma adottiva, è una profonda modifica dell'identità auto percepita. Lo specchio diventa un nemico perché riflette un’immagine non coerente con il vissuto e le proprie credenze.

È questo il bello di questa puntata di Servant, che purtroppo non è emerso come dovrebbe. Ovvero la scrittura traumatica dell’adolescenza. Come un uccellino ferito nel nido, la strega lo difende con tutte le forze facendo male a tutti, anche a coloro che le vogliono bene. La sua nuova dimensione della normalità è dolorosa. Si ribalta così l’accettazione del lutto. Ora i punto non è più fare i conti con quella sofferenza, semmai è imparare di nuovo ad adeguarsi alla quotidianità, nella sua tranquilla banalità.

C’è sempre un’ombra scura che si avvicina. I personaggi sanno di vivere in una sorta di dimensione parallela, una condizione immeritata - in cui il loro figlio defunto non è più tale - che gli permette di fingersi ipocritamente al sicuro. Il nido è sempre più accerchiato e anche metterlo al sicuro dall’interno non lo può proteggere dall’esterno.

Sono queste finezze narrative che elevano la stagione ben al di sopra della noia, anche se negli ultimi due episodi si è un po’ allontanata dall’entusiasmo iniziale.

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