Servant 3x03 “Capelli”: la recensione

La terza puntata della terza stagione di Servant è quasi un filler, progredisce poco la trama, ma che atmosfera che riesce a creare!

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Spoiler Alert
In Servant il progredire dei personaggi non è mai importante quanto il cambio delle scenografie. Le pareti ordinate scricchiolano e si crepano. Sono l'equivalente tattile della precaria stabilità psicologica nascosta dietro a usanze convenzionali ripetute allo sfinimento. Le persone non sono gentili, recitano come se lo fossero. Il galateo è solo una maschera che copre le ferite della famiglia. Dentro la casa e fuori la casa ci sono due dimensioni quasi parallele. La porta che chiude la frenesia della città è un rifugio, un nido per Leanne.

Nella terza puntata della terza stagione, intitolata Capelli, finalmente però la ragazza sperimenta l’esterno, ed è come un bombardamento in tempo di guerra. Il suo è un attacco di panico ripreso in maniera piuttosto convenzionale: suoni ovattati, immagini o troppo vicine o fuori fuoco, surround al massimo per far perdere le coordinate. È però un passaggio fondamentale per la serie, confinata nell’unità di luogo ben prima della pandemia, che delinea così uno dei temi della terza stagione: aprire le porte, fare entrare l’aria fresca. 

Al montaggio è delegato il compito di segnare, artificialmente, l’unico legame tra lo spazio esterno e quello chiuso. Ottima la trovata di farlo usando il cibo, con quel bellissimo stacco dal prato visto dall’alto, con l’occhio di Dio, e la zuppa in dettaglio. Entrambi sono dello stesso verde e ci si accorge del cambio solo quando arriva una mano che sistema un fiore al centro del piatto.

A parte questa significativa sequenza in esterni la puntata si configura come un filler, soprattutto nella linea di trama di Julian. La sua ricerca del “capello” per incriminare Leanne poteva essere ben integrata nella prima stagione. Ora è fuori tempo massimo e denota il bisogno degli scrittori di prendere tempo prima di entrare nel vivo della stagione.

L’improvvisa bontà d’animo di Sean è invece perfettamente giustificata nel percorso psicologico del personaggio. Convinto che Jericho sia veramente suo figlio si sente in dovere di restituire il miracolo avuto. La scena della condivisione del cibo (solo l’ennesimo dei molti richiami biblici) è purtroppo eseguita goffamente. Sommato al momento successivo del notiziario condotto dalla moglie, l’intero blocco stride. Non lo fa in senso horror come la sequenza della canzoncina per bambini nell’episodio precedente. Qui si nota la scrittura e la finzione che rompe il leggero confine tra immedesimazione cieca e distacco critico.

Servant è infatti una serie che rischia costantemente di lasciare andare la pressione e sfociare nel trash. Non lo fa mai, nemmeno questa volta, ma perde quella capacita di far credere alle cose più assurde. Una scena sbagliata di netto che spegne l’illusione e indebolisce il risultato finale. Mentre invece in parallelo la tensione viene costruita da Julian, che prepara un colpo di scena potenzialmente in grado di ribaltare come un calzino la trama poi risolto nel nulla. Peccato.

Come esercizio di stile di per sé la puntata funziona: ha un tocco paranormale (come può Leanne non lasciare nemmeno un capello in giro?) e lavora ancora sugli spazi della casa. Ogni volta che una stanza viene inquadrata ha un aspetto leggermente diverso della volta precedente. I mobili e i colori sono sempre gli stessi, è il ruolo che quegli spazi assumono che cambia. Una culla è un luogo di protezione e poi, nella scena dopo, una prigione. La cucina uno spazio in cui si preparano delizie o un mattatoio e così via.

Ritorna forte in Servant la presenza della televisione, oltre ai dispositivi mobile, come se tutti volessero raccogliere testimonianze e immagini di un qualcosa che non sanno bene nemmeno loro. Il soprannaturale non può essere fermato su un file digitale. Le prove scompaiono improvvisamente, il mistero alimenta se stesso nascondendosi. Sono proprio i fatti più misteriosi che nascondono le testimonianze attendibili di quello che sta succedendo a rendere più intricato il tutto. Si vede esplicitamente che qualcosa sta agendo, eppure ne abbiamo coscienza proprio quando ogni fatto oggettivo viene cancellato dalla vita (e dalle videocamere) dei personaggi. L'azione del soprannaturale sta proprio nel nascondere ogni prova della sua esistenza, confermandola così indirettamente.

È un’ossessione che a lungo ha caratterizzato il cinema di Shyamalan. In tutta la prima parte di Signs gli alieni potevano essere conosciuti dai personaggi solo tramite immagini rielaborate da un dispositivo di ripresa. In The Visit il documentario fatto da uno dei bambini in vacanza a casa dei nonni ha dei soggetti inattendibili. Si crede che tutto sia normale, solo perché manca un pezzo di informazione che, quando arriva, ribalta tutto.

È la definizione dello shyamalan twist che manca in Servant (o che è presente in quasi ogni puntata, dipende da come lo si interpreta e come lo si guarda). Chissà se alla fine ci sarà una trovata in grado di rivoluzionare tutto il racconto fino ad ora. La serie si sta però dimostrando così poco legata alla trama, e molto di più alle atmosfere che crea e alle situazioni in cui inserire l'orrore, che non si sente la mancanza dell'ennesimo, grande, colpo di scena. Piuttosto è importante che non ci si areni già qui, all'inizio della stagione.

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