Serenity - L'Isola dell'Inganno, la recensione

Su un'isola tropicale Serenity cerca di tradurre per un pubblico non propriamente giovane i film di fantascienza moderni in un noir d'altri tempi

Critico e giornalista cinematografico


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È letteralmente incredibile che dietro a Serenity - L’isola dell’inganno ci sia Steven Knight. Lo stesso Steven Knight di Locke, lo stesso che ha contribuito alla sceneggiatura di La Promessa Dell’Assassino, lo stesso che ha contribuito a quella chicca di Il Sapore Del Successo e ha scritto Peaky Blinders e pure Taboo. Invece no,  Serenity - L’isola dell’inganno è farina del suo sacco: scritto e diretto!

Serenity è probabilmente l’apice dell’ingenuità filmica del 2019, o almeno è lecito sperarlo. Un film che traduce per un pubblico plausibilmente in là con gli anni la fantascienza degli ultimi anni, ma sbagliando quasi tutti i dettagli tecnologici. Basti dire che mostra un ragazzino che gioca a un videogioco di con un telone sulla testa per non farsi vedere, e lo fa battendo tutti i tasti della tastiera come se stesse scrivendo qualcosa. Della fantascienza che pure è la sua base davvero non gli interessa altro, gli interessa usarla per creare un racconto di un altro genere, per fare Casablanca + La Fiamma Del Peccato.

Inizialmente infatti c’è un’aria portual/esotica tipo Ombre Malesi, solo più proletaria e barcarola, in cui un pescatore squattrinato è ossessionato da un tonno gigante che non riesce a pescare e per prendere il quale si sta rovinando. È un disperato che campa racimolando soldi come gigolo fino a che una notte entra nel bar una sua vecchia fiamma mai dimenticata come avviene in Le Catene Della Colpa. In quell’istante è evidente che è tutto sbagliato: Anne Hathaway (che pure ha ottime referenze) è agghindata come Veronica Lake, non è credibile e non funziona. Così, mentre Matthew McConaughey (che pure ha un talento tutto suo nel cercare film dai presupposti e dalle aspirazioni animisti come già La Foresta Dei Sogni) si sforza di dare al suo pescatore un’aria da Bogart, in modo che interagisca bene con Djimon Hounsou che gli fa da pianista Sam, il film scade nel didascalico come quando i due ex amanti dialogano mettendo a posto oggetti da pesca: lei tiene il rullo della lenza mentre lui con la canna in mano la riavvolge di fatto “pescandola”.

Ma così, con il nuovo marito da fare fuori per incassare 10 milioni di dollari, forse il film poteva ancora reggere. Dove Serenity si perde è alla grande svolta, una rivelazione di certo inattesa (questo è poco ma sicuro) che arriva a metà, ribalta il genere d'appartenenza del film, dà un senso ad alcune assurdità ma ne mette sul piatto molte altre.

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