Senza rimorso, la recensione
Senza rimorso di Stefano Sollima è un film totalmente immersivo che racconta benissimo la dinamica del campo di battaglia, ma che fallisce nel restituire una riflessione politica profonda e ad ampio respiro.
Non perde mai la concentrazione Stefano Sollima, nonostante intorno a lui regni il caos. Ed è con mano ferma che il navigato regista crime che piace molto negli Stati Uniti (Gomorra la serie, Soldado, ZeroZeroZero) racconta anche in Senza rimorso un campo di battaglia totalizzante, logorante per chi ci sta in mezzo e adrenalinico per chi lo guarda. Sollima questo lo fa con assoluta precisione, con la sua solita dedizione estrema nel restituire l’esperienza della lotta in prima linea, con i proiettili che ti fischiano a un centimetro dall’orecchio e le esplosioni che ti fanno vibrare le viscere. Ma, sul lungo termine, si sente la mancanza di una scrittura incisiva, lacerante, di un lavoro proprio sui personaggi e sulle motivazioni di un conflitto complesso, di un qualche nesso che colmi il vuoto tra l’idea generale che guida la storia (la politica estera americana come arma per smuovere il consenso in patria) e il suo riflesso esemplare nella vita del protagonista.
La scrittura di Sheridan e Staples unita all’estro di Sollima regala al film un susseguirsi ritmato di sequenze d’azione incisive, creative e a più dimensioni. Queste sequenze funzionano a tutti gli effetti come unità autoconclusive di un videogioco, incredibili e coinvolgenti quest secondarie all’interno di una chiara missione principale (arrivare all’uomo e ucciderlo), ma che tuttavia, non coltivando allo stesso modo l’aspetto propriamente umano delle situazioni (cosa che invece in Soldado riusciva con un’efficacia disarmante) risultano svuotate di significato. O meglio, meno efficaci di quanto avrebbero potuto esserlo. Sia chiaro, questo non va ad intaccare la godibilità delle singole sequenze: il coinvolgimento è alto, l’azione è sempre al massimo e Sollima usa benissimo gli oggetti e gli spazi, in tutte le direzioni e le dimensioni possibili. Michael B. Jordan è ripreso spesso in continuità, con pochi stacchi di montaggio per aumentare l’effetto immersivo, tra movimenti a seguire che esplorano in avanti o si spostano tra i piani degli edifici. E, come nei videogiochi, la difficoltà e la posta in gioco crescono man mano che si va avanti nella storia.
Michael B. Jordan ci mette anima e corpo (soprattutto corpo, contando che è stata usata pochissimo la controfigura), dimostrandosi all’altezza nelle situazioni più fisiche ma un po’ troppo restio al creare sfumature di emotività. Un altro piccolo tassello mancante a un quadro comunque fortissimo, di vero impatto, ma di cui, sotto le macerie, rimane sepolto il significato profondo.
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