Semplicemente Nero, la recensione

Sebbene cerchi continuamente la provocazione, Semplicemente Nero non è mai chiaro nei suoi intenti, risultando soltanto una galleria di scene più o meno provocatorie che confondono sul vero punto di tutta l’operazione.

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Semplicemente Nero, la recensione

Quanto è difficile fare satira politica, ma il coraggio non sembra mancare a Jean-Pascal Zadi, che in Semplicemente Nero non solo ci mette la scrittura (assieme a Kamel Guemra) e la co-regia con John Wax, ma soprattutto ci mette la faccia “alla seconda", rendendosi protagonista di un finto documentario in chiave comica in cui interpreta se stesso e dove si dipinge come un attore fallito, incompetente e piuttosto ignorante che vuole organizzare una marcia di protesta per i diritti dei neri in Francia. JP (così lo chiamano) è però un ignorante e un incapace e, nonostante le buone intenzioni, viene allontanato da tutti e accusato di perpetuare lo stereotipo razzista per il modo in cui pensa la marcia (solo per “veri uomini neri”, che nemmeno lui ha davvero idea di chi siano). Solo il comedian di successo Fary (Fary Lopes B), accusato delle stesse cose, si propone di aiutarlo con l’obiettivo di avere visibilità, mostrando però di essere realmente un bieco opportunista.

Il coraggio di JP e l’intento satirico, tuttavia, non bastano e non possono bastare: Semplicemente Nero infatti, sebbene cerchi continuamente la provocazione, la risata e attraverso questa una riflessione più profonda, non è mai chiaro nei suoi intenti, risultando soltanto una galleria di scene più o meno provocatorie che confondono sul vero punto di tutta l’operazione. La carne al fuoco è veramente tanta, eppure Semplicemente Nero rifiuta di compiere una saggia scelta di campo per intraprendere la strada fallimentare dell’accumulazione.

Il film infatti non segue linearmente la trama principale, dove cerchiamo di capire come/quando/se JP organizzerà la marcia, ma è un continuo susseguirsi di digressioni che trattano il razzismo del mondo dello spettacolo e l’incoerenza degli stessi movimenti attivisti e che, a volte facendo ridere e molte meno volte no, esulano dalle premesse iniziali. Il ritmo ne esce inevitabilmente penalizzato, diventando faticoso e pesante da seguire (essendo così discontinuo), ma soprattutto il tema diventa parecchio confuso. I nodi vengono allora al pettine, inevitabilmente, nel finale, dove ci si rende conto che tutto ciò che viene seminato lungo il film non aiuta in nessun modo a capire quale sia il senso e il significato per il protagonista di quello che ha fatto.

Sebbene possa ricordare il tono provocatorio e lo stile scanzonato della satira di Borat, qui, tuttavia, la forma del mockumentary non viene mai sfruttata e portata a compimento. L’impressione è che Semplicemente Nero si dimentichi completamente, dopo poco tempo, che la premessa (narrativa ma anche stilistica!) è che si deve trattare delle riprese di una troupe amatoriale: scegliendo invece una fotografia sempre pulita e bilanciata, riprese statiche e un montaggio a favore della continuità e della chiarezza, la regia Zadi-Wax non ha niente di quell’impressione di reale e in diretta tipico o della camera a mano o dello sguardo in macchina.

Cosa ci voglia dire allora Semplicemente Nero sulla società francese e sulle sfaccettature dell’identità non è per niente chiaro. Anzi, proprio perché così “generalmente interessato” ma così poco a fuoco nel particolare, il film potrebbe essere trasferito in un’ambientazione americana e il risultato sarebbe lo stesso. Un vero peccato, perché si gioca molto bene sull’empatia verso il personaggio principale con cui trascorriamo ogni minuto del film, e che Jean-Pascal Zadi riesce ad illuminare di una bontà che va oltre la sua ignoranza.

Cosa ne dite della nostra recensione di Semplicemente Nero? Scrivetelo nei commenti dopo aver visto il film!

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