Secret Team 355, la recensione

Come un corpo posseduto da lontano Secret Team 355 fa azione senza crederci mai, senza avere coscienza di cosa serva davvero

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Secret Team 355, in uscita in sala dal 12 maggio

Chissà se in tutto il team creativo e produttivo di Secret Team 355 c’era qualcuno che nella sua vita abbia visto anche solo un film d’azione per passione, che tragga piacere dal fruirne o addirittura che li ami. Vedendo il prodotto finito non si direbbe. Anzi. L’impressione è proprio che tutti abbiano trattato l’impresa come un prodotto, qualcosa le cui caratteristiche sono note, che deve essere dotato di certi elementi, rispettare certi standard e rispondere a determinati canoni. Come se si producessero scatole, basta rispettare le specifiche e il prodotto sarà corretto. E del resto a Secret Team 355 non manca davvero niente se non il senso e il profondo godimento di fare e ovviamente guardare cinema d’azione.

In testa a tutto c’è Jessica Chastain, produttrice e attrice che ha innescato la scintilla di un action-spy-movie mondialista con un intreccio degno dei peggiori film di 007 (quelli della fine della gestione Brosnan), in cui diversi agenti segreti di diverse zone del mondo inseguono e poi si alleano per trovare un unico oggetto a partire da un presupposto tecnologico risibile. È la tipica assurdità tirata fuori quando nessuno ha davvero intenzione di impegnarsi a scrivere un pretesto vagamente plausibile, ricercato o anche solo complicato. Viene così inventato l’oggetto tecnologico che tutto può, l’arma fine di mondo che può essere portata in giro in tasca, una magia più che una tecnologia a cui tutti credono senza problemi. Per trovare e possedere questo tutti distruggono tutto e ci si spara e mena molto a vicenda. Non è questo che si fa del resto?

No, c’è un po’ di più, perché non si dica che il manuale del cinema d’azione non è stato letto fino in fondo. Le protagoniste della squadra che si forma in corsa hanno anche ragioni sentimentali per fare quello che fanno, specie la più protagonista, Jessica Chastain, nella quale ad un certo punto scatta il classico “Now it’s personal”. Accanto a lei Penelope Cruz, Diane Kruger, Lupita N’Yongo e Fan Bingbing, nessuna delle quali dotata di una vera esperienza in cinema d’azione (se non Fan Bingbing, che almeno sa muoversi). Tutte ottime attrici ma qui le loro solite abilità contano poco, nel cinema d’azione conta la capacità di recitare un corpo d’azione (si pensi a quanto i tradizionali e storici action heroes non eccellessero nei dialoghi o nei primi piani, si pensi alla tigna e forza con cui sa recitare Milla Jovovich).

Dunque all’assente personalità della trama e del film, si aggiunge quella assente dei movimenti e dell’azione. Tutto generico, tutto mai interessante per nessuno, in primis chi l’ha realizzato, che palesemente non tiene a quel che sta raccontando né tantomeno a quel che sta mostrando. Le arti marziali, le sparatorie, il rischio, le decisioni improvvise e la posta in gioco. Tutto così spaventato dall’affondare le mani e sporcarsi sul serio che addirittura il film distoglie lo sguardo di fronte alla morte. Ogni qualvolta qualcuno viene ucciso questo avviene fuori campo, talvolta con stacchi fastidiosi, repentini e goffi che non fanno che sottolineare la cosa. E tutto in un action con esplosioni, sparatorie, coltellate e arti marziali in gran quantità! Che ipocrisia è? Che mancanza di rispetto è per quel genere?

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