Searching, la recensione
Ambientato sul desktop di un computer Searching è la declinazione più ordinaria dello screencasting, quella che replica più che può il video
La trama in realtà è abbastanza canonica (eccezion fatta per una buon finale a sorpresa): padre e figlia vivono da anni senza la madre, deceduta in un bel montaggio iniziale fatto di azioni al computer che conducono all’evidenza della morte, quando l’appuntamento sul calendario “Mamma esce dall’ospedale” viene cestinato e si passa alla preparazione di un documento Word di quelli con foto del deceduto, date e “in Loving Memory” da stampare per il funerale. Quando di colpo la figlia comincia a smettere di rispondere ai messaggi e non torna più a casa inizia una ricerca disperata accedendo al suo computer (in una catena divertente di “Hai dimenticato la password?”), alla sua rubrica, alla sua pagina Facebook e poi assieme alla polizia alle immagini delle videocamere di sicurezza sparse per la città. Sembra sia fuggita, forse è stata rapita, probabilmente è morta, ma il padre non vuole arrendersi e continua a scavare.
Quel che di più pigro si può fare in questi casi infatti è barare e usare moltissimo il video. In tutto Searching vediamo il protagonista dialogare con qualcuno via FaceTime o Skype, addirittura anche quando telefona da in mezzo a un bosco di notte e non ha niente da mostrare a nessuno. Nelle finestre contenute dallo schermo vediamo lui e il suo interlocutore in un campo controcampo tutto interno al fotogramma, che non è molto. Specie considerato come abbiamo imparato che lo screencasting può creare nuove associazioni e lavorare in modi più raffinati sullo sguardo dello spettatore.