Sea of Solitude: The Director’s Cut, cambia la trama ma non la sostanza | Recensione

Al di là delle considerazioni sui cambiamenti alla trama, a grandi linee Sea of Solitude: The Director’s Cut, nel bene e nel male, non è poi molto dissimile alla versione già esordita nel 2019

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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Sea of Solitude: The Director’s Cut non è un porting come gli altri. Contando sulla collaborazione straordinaria, e totalmente inattesa, di Quantic Dream, la software house di David Cage, non si limita a proporre su Nintendo Switch l’avventura originariamente pubblicata da Electronic Arts nel 2019.

Come il sottotitolo lascia intuire, difatti, questa edizione si prende la briga di apportare qualche modifica all’avventura, variazioni in certi casi tutt’altro che superficiali e di poco conto.  Se in termini prettamente ludici il gioco è rimasto intatto, sul fronte narrativo sono stati apportati cambiamenti che tentano di aggiustare la mira, di rendere la trama più interessante e meno scontata di quanto non lo fosse nella sua forma originale.

Nei panni di Kay dovrete attraversare un mare in burrasca e abitato da oscure presenze che tenteranno continuamente di braccarvi, guidati costantemente da barlumi di luce che, una volta raggiunti, vi serviranno per rendere esplorabile una zona di gioco o, in alternativa, per scacciare più o meno definitivamente il mostro di turno.

Sea of Solitude: The Director’s Cut racconta in forma allegorica della forte solitudine patita in gioventù dalla sceneggiatrice e direttrice del gioco, Cornelia Geppert. L’avventura rappresenta, in qualche modo, i processi mentali e catartici compiuti dalla donna, che, esattamente come Key, ha affrontato e superato numerosi traumi legati in primis alla sua famiglia.

[caption id="attachment_223659" align="aligncenter" width="1000"] Le zone esplorabili hanno dimensioni molto contenute, ma alcune sono ricche di segreti[/caption]

"Il focus dell’esperienza ha a che vedere con le suggestioni che trama e art design scatenano nell’utente"Come la maggior parte dei walking simulator, insomma, il focus dell’esperienza ha a che vedere con le suggestioni che trama e art design scatenano nell’utente, lasciando in secondo piano le meccaniche ludiche. Del resto, per tutta la durata del gioco non dovrete fare altro che esplorare e, di tanto in tanto, scappare dai mostri di cui sopra. Non ci sono veri e propri enigmi, né il game over è particolarmente penalizzante visto che riprenderete la partita a pochi passi di distanza dalla brusca interruzione.

Per trovare la strada da seguire basta lanciare e seguire la traiettoria del bengala; curiosare in giro è utile per scovare alcuni collezionabili; grazie alla piccola barca di cui sarete dotati sin dall’inizio raggiungerete nuove location; nelle brevi nuotate nel mare concessevi, dovrete aspettare il momento migliore per immergervi, stando ben attenti ad aspettare che la creatura famelica di turno sia abbastanza lontana da voi.

Non ci sono puzzle che vi bloccheranno la strada, né un livello di sfida degno di questo nome. Nonostante un livello di interattività molto più elevato rispetto a tanti altri walking simulator, entro cui è comunque difficile racchiudere e rinchiudere Sea of Solitude: The Director’s Cut, il gioco vive quasi esclusivamente delle emozioni che suscita nell’utente.

Da un punto di vista visivo il porting non ha mortificato particolarmente l’originale comparto grafico della produzione. In modalità portatile gli oggetti distanti tendono ad essere un po’ troppo sfocati, ma le animazioni riviste e il frame rate fisso sui 30fps rendono giustizia all’hardware Nintendo e alle visioni degli artisti in forza a Jo-Mei Games.

Parlando della trama, invece, il discorso si complica, anche a fronte delle variazioni effettuate rispetto all’edizione originale. All’epoca della release su console e PC, la produzione non stupì particolarmente a causa di allegorie fin troppo decifrabili che finivano per rendere la progressione ora prevedibile, ora patetica.

Questa Director’s Cut ha operato per sottrazione, eliminando di netto molti dialoghi, togliendo la parola ad alcuni personaggi, creando dei silenzi dove prima non c’erano. Da una parte, alcuni passaggi diventano più gustosamente enigmatici, dall’altra si sente l’assenza di un riarrangiamento narrativo più oculato e che prevedesse anche qualcos’altro, oltre alle omissioni.

[caption id="attachment_223658" align="aligncenter" width="1000"]Sea of Solitude Director's Cut screenshot Il design dei mostri può dirsi sicuramente riuscito ed inquietante al punto giusto[/caption]

Meglio o peggio dell’originale? Difficile dare un parere univoco. Chi non ama gli “spiegoni” troverà sicuramente più affascinante questa versione della storia. Al contrario, se siete tra coloro che odiano prodotti come Lost o Evangelion, potreste trovare di facile lettura, e quindi più piacevole, l’originale.

Al di là delle considerazioni sui cambiamenti alla trama, a grandi linee Sea of Solitude: The Director’s Cut, nel bene e nel male, non è poi molto dissimile alla versione già esordita nel 2019. Si tratta di un’avventura molto breve, quattro ore bastano per completarla, adatta unicamente ad un pubblico appassionato ad esperienze del genere. Il valore artistico della creatura di Cornelia Geppert non riesce a rivaleggiare con GRIS, solo per citare qualcosa di idealmente molto simile, ma potrebbe comunque intrattenere degnamente i curiosi a caccia di qualcosa diverso dal solito.

Inedita insomma, ma questa Director’s Cut non cambia particolamente la sostanza.

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