Sea Fever, la recensione | Trieste Science+Fiction Festival 2019
La nostra recensione di Sea Fever, film presentato al Trieste Science+Fiction Festival 2019
Siobhán, interpretata da Hermione Corfield, è una studentessa di biologia marina che riceve il compito di trascorrere una settimana a bordo di un vecchio peschereccio per realizzare delle foto e verificare eventuali mutazioni nella fauna marina. L'equipaggio, guidato dalla coppia composta da Freya e Gerard (Connie Nielsen e Dougray Scott), la accoglie con un misto di simpatia e superstizione a causa della sua capigliatura rossa, considerata possibile causa di sfortune. La ragazza, particolarmente introversa e totalmente immersa nei suoi studi, fatica ad ambientarsi a bordo ma, quando la nave si imbatte in una strana creatura e iniziano a verificarsi degli eventi drammatici, le sue conoscenze e la sua estrema razionalità si rivelano molto utili.
Non tutto in Sea Fever funziona però come dovrebbe e proprio questa scelta di muoversi tra spunti e generi diversi non aiuta a suscitare le emozioni e l'adrenalina utili a mantenere alta l'attenzione. Gli aspetti scientifici, seppur plausibili e sicuramente frutto di ricerche specifiche, a lungo andare rendono difficile provare empatia per una protagonista il cui eroismo non lascia il segno, mentre gli altri personaggi sono delineati troppo a grandi linee per interessarsi realmente alla loro sorte.
Le buone potenzialità alla base di Sea Fever non vengono tuttavia sfruttate nel migliore dei modi e i riferimenti a situazioni sociali come immigrazione e reduci di guerra, attraverso le numerose metafore dell'entità che si introduce dall'esterno e distrugge l'equilibrio esistente ma non solo, non vengono contestualizzate a dovere, risultando così solo politically correct senza però una vera ragione di essere presenti nel film.
La cura con cui è stato girato il film e la scelta piuttosto originale di dare grandissimo spazio all'approccio scientifico rendono comunque il lungometraggio apprezzabile.