La scuola più bella del mondo, la recensione

Dopo un inizio di insospettabile classicismo e rigore La scuola più bella mondo sembra farsi contaminare da un'anarchia che squaglia le cime

Critico e giornalista cinematografico


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Srotolando una trama in cui un intreccio molto basilare (per un errore una scuola blasonata della Toscana invita per uno scambio culturale non un istituto di Accra, nel Ghana, ma uno di Acerra, Campania) è raccontato attraverso la diligente presentazione di personaggi in quadretti comici dall'umorismo di dettagli e dalla recitazione poco caricata, La scuola più bella del mondo parte come una commedia italiana degli anni '50, con una distensione e una serenità narrativa insospettabili.

Lontano dalla densità, anche visiva, di Un boss in salotto (dove tutto riempie l'immagine) e più vicino al solare favolismo di Benvenuti al sud, il nuovo film di Luca Miniero inizia riproponendo il vero stile classico della commedia italiana (qualcosa che molti tentano ma che non riesce a nessuno).

Peccato che nella seconda parte lentamente il film cambi, scivoli gradualmente dal rigorosissimo cinema anni '50 (talmente semplice da essere di una precisione inesorabile nei rapporti causa/effetto della trama e nelle motivazioni individuali) a un pasticcio molto più raffazzonato in cui non è sempre chiaro cosa muova chi e perchè, almeno non lo è se non si vuole partire dal presupposto che certe cose già sappiamo come andranno a finire (chi si innamora di chi, chi non tradirà chi e chi perdonerà chi). Ci sono sequenze come la serie di gare tra De Sica e Papaleo che non hanno nessuna spiegazione se non un'immotivata sfida lanciata senza un perchè o anche quella del ripensamento della scuola di Acerra riguardo la partecipazione a una gara che non viene motivata da niente nè prima nè dopo il ritorno. Questi momenti, uniti al solito indugiare eccessivo su un romanticismo che non è veicolo di null'altro se non di se stesso (non fa avanzare la storia, non ci dice molto di più sui personaggi, non ci diverte), lentamente deviano il corso del fiume portandolo in zone decisamente meno fertili.

Anche lo spunto iniziale più interessante e più vicino ai temi che interessano Luca Miniero lentamente sembra perdersi. Il regista che ha incentrato la stragrande maggioranza della propria filmografia sul contrasto tra Nord e Sud Italia (ogni volta declinato in un ambito e con finalità differenti) questa volta sembra portare un po' più avanti quell'idea per affermare (lo dicono più volte i personaggi) che il Nord non è il settentrione ma il punto in cui finisce il Sud. Miniero non ha mai nascosto da quale parte penda il suo giudizio e in questo caso è molto chiaro come il "nord" non sia un termine geografico ma identifichi chi si crede migliore perchè più efficiente e che quest'efficienza basti, tanto che nei momenti migliori il film pare proprio un inno all'inefficienza (il gioco in cui vince chi dà le risposte sbagliate).

Incredibile, infine, l'uso di Currè Currè Guagliò dei 99 Posse, inizialmente sottofondo corretto dell'atteggiamento anarchico del professore interpretato da Papaleo ma col procedere del film totalmente svestito di tutto quello che è e rappresenta per diventare una canzoncina positiva dei bambini.

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