Scream, la recensione
Il miglior film della saga di Scream dai tempi del primo trova di nuovo una maniera di divertire e avere qualcosa da dire sul presente del cinema
Se c’è un marchio di fabbrica nella serie Scream, oltre alla cittadina di Woodsboro e alla maschera dell’urlo di Munch, è il rapporto che i film hanno con la loro stessa storia e con la saga di cui fanno parte. Già a partire dal primo sequel veniva introdotto Stab (all’epoca Squartati) una serie di film nel film che rappresenta Scream stesso, il film che in teoria è tratto dagli eventi del lo Scream originale e che lungo gli anni è stato un modo per commentare la saga stessa dall’interno. Quello che faceva e accadeva a Stab era quello che faceva e accadeva alla saga di Scream. Non cambia questo in questo nuovo film che arriva a dieci anni di distanza dall’ultimo e che più di tutti gli altri vuole parlare di fandom, di come le saghe di film siano ostaggio dei propri fan e della nuova figura dello spettatore-produttore.
Se una cosa infatti questo film (decisamente riuscito, godereccio violento e, cosa non scontata, capace di sorprendere spesso) la centra in pieno è proprio il concetto che si affanna molto a spiegare di “cinema-nostalgia” guidato dalle opinioni della collettività di fan. I coinvolti nella storia infatti lo sanno che i lungometraggi adesso funzionano con i fan che protestano online, che obbligano a certe trame o certe produzioni, che chiedono certe storie e protestano se non sono all’altezza di quel che desiderano. Nel fare tutto questo però la forza di questo nuovo Scream sta nel dimostrare di aver capito che la nostalgia non è nella trama (come sembra pensare il nuovo Ghostface, che uccide i parenti delle persone coinvolte nei primi omicidi del 1996) ma è nei luoghi, nei volti in cui leggiamo il tempo che è passato e negli oggetti. La casa in cui finisce il film e la scoperta di che casa sia, da sola fa più nostalgia di tutta la ripetitività di una struttura che conosciamo. Questo Scream ha insomma capito molto bene che la nostalgia al cinema funziona come la memoria e si appiglia a dettagli e deja-vu.
Senza contare che questo film contiene quella che forse è la battuta più bella e centrata sentita fino ad ora sul fandom moderno (coinvolge il venire "radicalizzati").