Scissione (prima stagione): la recensione

Scissione propone un racconto raggelante e affascinante che denuncia l'alienazione lavorativa, ecco la nostra recensione

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La recensione di Scissione, la serie prodotta per Apple TV+ disponibile dal 18 febbraio

Chiunque conosca la favola di Al lupo, al lupo! sa che il ripetere più volte un concetto finisce per depotenziarlo. È quindi grande responsabilità per un critico - o aspirante tale - fregiare un'opera con l'alloro del termine "capolavoro". Memori dell'esopica storia, alla luce dei nove episodi della prima stagione di Scissione, non possiamo però esimerci dal piazzare sulla serie diretta (per lo più) da Ben Stiller questa impegnativa etichetta.

"Chi sei tu?". Queste le prime parole che il protagonista Mark S. (Adam Scott) rivolge, tramite un interfono, alla nuova collega Helly R. (Britt Lower). La ragazza, svegliatasi distesa su un ampio tavolo di un ufficio riunioni, non sa come rispondere. Ne segue uno scambio che disorienta tanto Helly quanto lo spettatore, incapace di comprendere la parziale amnesia della giovane e, tantomeno, il freddo interrogatorio a cui viene sottoposta.

Scissione

Essere o non essere

Il tema dell'identità è pilastro portante della serie; scopriamo ben presto come Mark e i suoi colleghi Dylan G. (Zach Cherry) e Irving B. (John Turturro), impiegati presso la Lumon Industry, si siano volontariamente sottoposti alla "scissione", separando grazie a un chip i ricordi della vita privata da quelli della vita lavorativa. A vegliare sull'operato dei lavoratori, impegnati in una bizzarra archiviazione di cifre dall'ignoto significato, c'è la glaciale Harmony Cobel (Patricia Arquette), coadiuvata dal sorridente, mellifluo Milchick (Tramell Tillman).

La cancellazione da parte dell'innie (cioè dell'identità interna all'ufficio) nei confronti della vita dell'outie si estende, chiaramente, a tutto il passato antecedente l'impiego; al lavoratore non resta memoria alcuna della propria famiglia, del proprio nome, dei propri interessi. Da queste alienanti premesse si snoda un racconto raggelante e affascinante, in cui i protagonisti guidano lo spettatore tra le tenebre di un mistero industriale che è eco del buio delle loro coscienze.

Se Mark è l'unico di cui ci vengano mostrate sin da subito le due vite distinte e, di conseguenza, le due diverse personalità, è Helly a incarnare l'anelito di libertà della sua innie, prigioniera di un destino determinato da una versione di sé che non avrà mai modo d'incontrare. Il germe della sua ribellione, dapprima scintilla isolata, deflagra e avvia un percorso costellato di incognite che coinvolge, uno dopo l'altro, i suoi tre colleghi "scissi".

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All work and no play

Lungi dal limitarsi alla procedura chirurgica sui dipendenti, la divisione è principio fondante della Lumon: la precisa ripartizione dei compiti, l'inesistente interazione tra reparti, tutto concorre a creare un contesto in cui il lavoratore, apparentemente tutelato, avverta su di sé la scure inquisitrice dell'industria. Ed ecco che anche un waffle party presenta, ai personaggi e al pubblico, il sapore amaro della carcerazione.

A dispetto di questi limiti, nell'asettico dedalo della Lumon può nascere e crescere persino l'amore, seppur secondo parametri del tutto originali. Anche la passione è infatti castrata dall'occhio e dall'artiglio corporativo, sviluppandosi in pochi spiragli di ascosa libertà. Ogni sentimento all'interno del severed floor (questo il nome del piano riservato agli impiegati scissi) passa attraverso il filtro dell'incertezza: nessuno degli innie sa, infatti, quali legami abbia intessuto al di fuori dell'ufficio.

In un'epoca in cui il principio di separazione tra la vita lavorativa e la vita professionale è divenuto prassi, la serie distribuita da Apple TV+ ci mostra la versione più estrema e mostruosa di questa metodologia. Gli impiegati della Lumon non conoscono altro al di fuori delle attività svolte all'interno dell'azienda, schiavi asserviti al raggiungimento di uno scopo il cui significato è a loro precluso. La disumanità del loro compito si traduce in una totale assenza di soddisfazione, essendo impossibilitati a conoscerne la vera natura.

Monito sulla deleteria divisione tra lavoro e vita privata, Scissione va però oltre l'ovvia metafora di base. La denuncia dell'esecuzione automatica di routine lavorative di cui si ignora il senso, la spersonalizzazione dell'impiego d'ufficio, la necessità da parte dell'industria di avere al proprio servizio mere macchine senza identità; Scissione è tutto questo, certo, ma è anche un thriller psicologico di sapiente fattura, che mai rinuncia al piacere di inquietare e avvincere.

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Un rigore abbagliante

È arduo identificare un principale punto di forza in un mosaico tanto perfetto: l'asciutta, potente sceneggiatura viaggia sulle spalle gigantesche di un cast fenomenale, voci diverse di un poema sinfonico impeccabile. La difficoltà di caratterizzare l'innie e l'outie è una sfida che Scott porta a casa con successo sin dalle prime scene, calibrando la propria interpretazione su variazioni espressive minimali e raffinatissime. Gli fa corona un gruppo di comprimari in stato di grazia, dall'apparentemente superficiale Dylan di Cherry al nervoso, fragile Irving di Turturro, passando per la fame d'aria della tormentata Helly di Lower.

Per raccontare la parabola di Mark S. e dei suoi colleghi, la serie sceglie una forma che ne rispecchia appieno il contenuto: ingabbiati tra il soffocante candore degli uffici e il claustrofobico cemento delle architetture più imponenti, i protagonisti si muovono vestiti di tinte quasi sempre fredde. Seguace di un'estetica sofisticata che ripartisce lo spazio in linee precise, Scissione inquadra i suoi eroi in schemi geometrici rigorosi, enfatizzando il senso di oppressione. Inoltre, trova nella riproposizione di elementi scenografici e visuali dal sapore vintage (in primis le apparecchiature elettroniche degli impiegati) una fida alleata per realizzare un affresco intelligentemente fuori dal tempo.

Dietro la facciata da thriller drammatico, Scissione è quindi una feroce denuncia dell'alienazione lavorativa, che rischia di nuocere irrimediabilmente alla nostra identità. Mirabile perla di purezza narrativa, è un tripudio di scrittura brillante, mai asservita al mero colpo di scena per stupire o alla trovata comica fine a se stessa. Tutto è parte di un meccanismo più grande, con una coerenza capillare tra micro e macro vista raramente negli ultimi anni. In una sola, impegnativa parola: capolavoro.

Scissione

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