Science plus Fiction 2014 - La danza della realtà, la recensione

Buffo, profondo, spiazzante e poetico. La danza della realtà è il ritorno di Jodorowsky e di un cinema che mostra che la poesia può dimorare sul grande schermo

Critico e giornalista cinematografico


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Erano 23 anni che non faceva film Jodorowsky e per il grande ritorno ha scelto di raccontare la sua storia perchè ritiene sia densa d'elementi che anche le altre persone hanno esperito. Lo fa per trovare qualcosa dentro di sè e provare a replicarlo negli altri, lo fa scartando il suo solito stile e trovandone un altro, molto debitore dell'immaginario di Fellini, in cui mette in scena atti psicomagici e atti poetici. In questo senso non tutto fila e l'impressione è di essere di fronte al racconto di diversi atti, un racconto di racconti che non sempre s'intersecano bene l'uno con l'altro e non creano un tutto omogeneo. È però fuori di dubbio che La danza della realtà riesca in diversi momenti a trovare strade inedite che conducono a quel che Jodorowsky vuole dire, stupisce con idee innovative e in certi momenti con idee classiche ma dalla fattura suprema.

La storia è quella del piccolo Alejandro che vive in un villaggio del Cile, è un bambino sensibile ma ha un padre comunista che lo vuole uomo, lo stesso che poi deciderà di andare ad ammazzare il dittatore finendo per fare il suo stalliere e rimanere bloccato dalla sua incapacità di ucciderlo quando se ne presenta l'occasione. Alejandro vive con fatica questo rapporto con il padre e con una madre che sembra tenere più al marito che a lui.
Di scena in scena, di momento in momento La danza della realtà racconta con il senno di poi la vita infantile (c'è la trovata fenomenale di mettere il vero Jodorowsky, quindi anziano, dietro il piccolo Alejandro a fargli un controcanto che sente solo lui, dimostrandosi ancora un interprete pazzesco, dotato di un'intensità meravigliosa) e usa la linea di trama del padre che cerca di uccidere il dittatore per raccontare invece il contesto, l'umanità e qualcosa di più banale ma anche universale.

Come si diceva non è però nel progetto che il film trionfa, quanto nei singoli momenti. Non è cioè la visione d'insieme ma l'impennata che spesso il regista riesce ad ottenere ad unisce realmente poesia e azione, movimento e aspirazione. Nonostante l'età e la lunga lontananza dal cinema (che però non ha mai smesso di guardare) Jodorowsky dirige alcune tra le sequenze più significative degli ultimi anni e soprattutto fa un film da vero punk, da vero rivoluzionario, uno che getta al vento qualsiasi convenzione e si propone di reinventare tutto, di fare ogni cosa a modo proprio senza venire a patti con nessuna prassi stabilita dal cinema recente.

L'idea pazzesca di far parlare la madre solo attraverso il canto lirico si concretizza in un paio di momenti in cui recitazione, musica e azione liberano la scena dal racconto contingente e la tramutano in poesia, cioè suggestione di qualcosa tramite la messa in scena di qualcos'altro. Fare poesia al cinema, impresa folle e potenzialmente terribile, il modo migliore per fallire che invece nella mani di Jodorowsky diventa trionfo. È il caso del momento potenzialmente scatologico della malattia mortale del padre guarita dalla madre urinandogli addosso, il massimo del basso che piano piano diventa una purificazione tenerissima grazie al contatto tra i corpi, tutto pelle, voce e mani nei capelli. Partire da un concetto forte e farsi strada lentamente dentro allo spettatore, questa è la tecnica di Jodorowsky, stupire prima e conquistare poi, disarmare e conquistare.

La danza della realtà è un film che afferma a pieni polmoni di parlare una lingua che è solo sua, un'opera fatta di contatti, in cui le persone si toccano con la leggerezza e la maestria dei grandi interpreti, con la plasticità delle mosse dei performing artist e parlano (occasionalmente) con la forza dei poeti, supportati da una visione che non svilisce questa poesia ma la sorregge. È l'idea dell'atto poetico, che più in là delle parole vanno le azioni, cosa che si traduce in film dove la poesia è nelle mosse e nel vedere più che nel sentire. Chi oggi è capace di declamare versi guardando l'orizzonte con il vento in faccia ed essere non solo credibile ma anche toccante? Forse solo Jodorowsky.

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