Scene tratte da "Una squadra", la recensione I TFF 39

La nostra recensione di Scene tratte da "Una squadra", la docuserie diretta da Domenico Procacci presentata al Torino Film Festival

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Frammenti di un team vincente, di una narrazione ibrida e giocosa. Sono le Scene tratte da "Una squadra", la riduzione, presentata al 39° Torino Film Festival, della docuserie Una squadra, diretta da Domenico Procacci, il fondatore di Fandango qui all'esordio alla regia. Nel 1976, la nazionale di tennis italiana, formata da Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, raggiunge la finale di Coppa Davis contro il Cile. La possibilità di giocare in un Paese governato dal dittatore Pinochet scatena un’ondata di polemiche che coinvolge il mondo della politica come quello della cultura. Ma alla fine la nostra nazionale otterrà il via libera, giungendo a uno storico trionfo.

La vicenda intreccia dunque Storia, politica e sport, in una questione spinosa e complessa. Ci butta da subito nel bel mezzo della polemica, ma poi la lascia sullo sfondo, per concentrarci sul percorso di qualificazione che ha portato gli azzurri a giocarsi la finale, in quella che resta fino ad oggi l’unico successo della nostra nazionale in Coppa Davis. Le interviste dirette ai quattro protagonisti (più al capitano non giocatore Nicola Pietrangeli) realizzate oggi ci presentano una serie di divertenti aneddoti e retroscena, concentrati in particolare sulle (dis)avventure di Panatta. Il montaggio alterna gli interventi di ciascuno, che rispondono, ammiccano, negano quanto detto dall’altro, in un continuo botta e risposta. Così, la dimensione da reportage televisivo secco e informativo è scansata, per proporre invece un racconto piacevole da seguire, condotto attraverso il filtro dell’(auto)ironia, predominante in ogni aspetto.

Procacci guarda infatti il dibattito in merito alla loro partecipazione al match con sorriso sardonico: rispetto alle tante voci che si sollevano, sono i giocatori a rivelarsi quelli più attenti alle questioni cruciali: appena sbarcati in Cile, si accorgono e riportano subito la condizione di povertà in cui versano gli abitanti. Anche il famoso caso della maglietta rossa indossata da Panatta durante il doppio è smitizzato, ricordando come le trasmissioni televisive dell’epoca, in bianco e nero, rendevano impossibile notarla. L’obbiettivo del film è piuttosto la celebrazione di un team che, seppur diviso al suo interno, ha saputo far fronte comune e arrivare a un successo troppo offuscato e osteggiato dalle polemiche. Ma anche evitare qualsiasi celebrazione agiografica da consueto documentario sportivo che racconta le gesta dello sportivo-superstar. I quattro protagonisti non si fanno problemi a mettersi a "nudo" davanti alle telecamere, a raccontarsi senza reticenze, con la possibilità allo stesso tempo di comporre in prima persona il loro ritratto, in risposta a quello realizzato dai media.

Alle interviste girate appositamente per il film, il regista infatti ricorre e alterna riprese dell’evento a colori, trasmissioni televisive in bianco e nero e inserti di immagini di riviste dell’epoca. Vediamo in particolare Panatta ospite di show dove si parla solo del suo fascino e al centro di copertine di giornali di gossip che si focalizzano sulla sua vita privata. I filmati d’archivio diventano espressione di un’epoca, costruzione e deformazione dell’immagine del "divo". Il rimando all’attualità, in cui questo processo è ancora più intensificato, è immediato. Panatta del resto non sembra essere turbato e anzi fa leva con piacere sulla sua fama, scherzandoci sopra. Toni apparentemente scanzonati che però nella continua riproposizione di questi elementi finiscono per stridere e rivolgere la riflessione direttamente allo spettatore. Una stratificazione tematica notevole, celata sotto la levità del formato.

Insomma, Una squadra è una piacevole sorpresa, un documentario sportivo leggero e divertente che guarda in faccia tutti i cliché del genere e sa essere tra le righe una riflessione teorica non di poco conto.

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