Scappa - Get Out, la recensione
L'unico film a raccontare uno dei più grandi cambiamenti nei rapporti tra etnie è un horror, di un comico. Di Scappa - Get Out ci ricorderemo a lungo
Potrebbe anche finire qui il discorso sul film non fosse per il fatto che la storia che racconta, e tutto quel che accade nei momenti in cui non intende fare paura, sono la parte più interessante e urgente.
Il film di Jordan Peele (che fino a ieri era un autore e attore di commedia) ha una serie di fobie molto radicate nel presente che rappresenta per primo con tale convincente partecipazione. Non è il frutto di un abile mestierante che sa mettere in scena una storia con caparbietà, ma di qualcuno che conosce bene ciò che racconta e che lo teme in prima persona, così tanto da sapere insistere là dove serve e spaventare soprattutto quando non ci sono colpi, sangue o l’incombenza della violenza.
Get Out è un film a tesi molto preciso, uno che mette in scena qualcosa di diverso dal razzismo ma ugualmente discriminatorio e spaventoso: la maniera in cui il corpo afroamericano è preoccupantemente al centro di ogni discorso anche quando è desiderato invece che condannato, quanto non sia possibile considerarlo al pari degli altri ma sempre qualcosa di eccezionale e a parte.
Cosa si celi dietro questi atteggiamenti inquietanti è la sorpresa dell’intreccio del film, ma cosa si celi davvero è quello che alimenta tutta questa storia (un po’ lunga) di un ragazzo afroamericano che rischia la vita a casa di bianchi che hanno votato per Obama e venerano Jesse Owens. Un senso di spaventosa penetrazione culturale, di impoverimento delle proprie radici e di preoccupante interesse per il proprio corpo.
Alla prima di uno dei film più importanti per la presa di coscienza culturale degli afroamericani, Sweet Sweetback’s Baadassss Song, gli spettatori dalla platea urlavano al protagonista di uccidersi nella scena in cui viene arrestato dai bianchi, in questo film ci sarà chi fa una scelta simile e sembra avvenire per la stessa ragione e con la medesima rabbiosa urgenza di quelle incitazioni nei cinema degli anni ‘70: per non essere ancora vittima delle imposizioni, stavolta culturali, bianche.