Saw: Legacy, la recensione

Giustizialista, arrogante, implausibile, splatter e fuori da qualsiasi logica del thriller, Saw: Legacy è un degno sequel insensato della saga i Jigsaw

Critico e giornalista cinematografico


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È molto chiaro cosa voglia fare Saw: Legacy: rilanciare la serie, farla ripartire nonostante l’ultimo film che avevamo visto avesse messo la più tombale delle pietre su altri sequel, cioè la morte del villain semi onnipotente, il genio dietro le torture. È un’operazione commercialmente molto banale, tuttavia è anche un’occasione imperdibile per capire cosa costituisca davvero un film della serie Saw, un successo incredibile nel cinema di serie B che nel tempo si è ritagliato uno spazio che non occupa nessun altro. Iniziata da James Wan all’insegna del thriller con colpo di scena finale, la serie ha poi preso un percorso suo indipendente dai toni del primo film, e ora quest’aggiunta non stona per nulla (nonostante le premesse molto forzate) perché sembra che i fratelli Spierig (già dietro l'ottimo Daybreakers e l'instant classic del torcimeningi Predestination) abbiano capito bene cosa conti davvero in questi film.

I Saw sono film con investigatori e assassini, in cui qualcuno cerca di scoprire chi colpirà, quando e come per prevenire le morti, ma in fondo la parte di detection, che nelle storie gialle è l’essenza di tutto, è marginale. Il killer è sempre così onnipotente e un passo avanti a tutti, che il pubblico sa bene che non ha senso cercare di scoprire assieme ai detective i vari misteri, perché può accadere di tutto, anche cose implausibili. Ciò che invece occupa la maggior parte delle risorse e dell’attenzione è la parte di tortura, la creatività nei meccanismi di dolore e di minaccia di morte. Anzi, per essere più precisi è proprio l’infliggere una pena, lasciare che la vittima soffra, tema, abbia paura, implori e forse si penta di quel che ha fatto.
I vari Saw sono film giustizialisti a tutti gli effetti in cui qualcuno la fa pagare a qualcun altro per qualcosa di terribile che ha fatto e per la quale, nell’ottica del film, si merita anche di morire a meno che non si penta. In questo la serie è la versione filmica di Il Punitore, solo con molti meno scrupoli.

Se un personaggio come Dexter (dell’omonima serie tv) si pone molti dubbi riguardo il suo essere un giustiziere al di fuori della legge, l’Enigmista di Saw non ne ha. Si parte sempre dal presupposto che sia tutto giusto e che la persona che uccide sia così superiore agli altri come intelletto (ma anche sadismo) da potersi permettere di essere giudice di malefatte così bastarde da non essere mai opinabili, ma sempre nettamente infami.
Saw racconta quindi per contrasto l’impotenza del mondo reale di fronte ai crimini impuniti e agli atteggiamenti più condannabili, usando la passione per lo splatter (che in Legacy è molto ben resa) e per l’esibizione di superiorità.

In particolare Saw: Legacy evidenzia più di altri anche un'ossessione che permea la serie, cioè una certa misoginia. Qui si vuole associare ad una sospetta assassina un piacere sessuale rispetto alla morte. Agli uomini sospettati non viene mai chiesto, mentre a lei è continuamente domandato (ma del resto anche mostrato) quanto le torture raccontate e ipotizzate la eccitino. Proprio questo modo di guardare le donne svela, se ancora ce ne fosse bisogno, la prospettiva conservatrice di un film che pretende di fare giustizia, che chiede a gran voce ordine e rispetto, e che è molto ben disposto ad accettare che sia un uomo a fare tutto questo (venerandolo come un genio) ma molto meno ad accettare che ci sia una donna a tirare le fila e trarne piacere.

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