Sanctum - la recensione

Un gruppo di speleologi si ritrova bloccato in una grotta e deve lottare per sopravvivere. Prodotto da James Cameron, un film di serie Z, che al massimo può suscitare qualche risata involontaria...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

Titolo Sanctum
RegiaAlister Grierson
Cast
Richard Roxburgh, Ioan Gruffudd, Rhys Wakefield, Alice Parkinson, Dan Wyllie, Christopher BakerUscita11-02-2011La scheda del film

Perché, James, perché? E' questa la domanda che sorge spontanea dopo aver visto Sanctum, prodotto da James "ormaipossofarequellochemipare" Cameron. Perché dilapidare (almeno in parte) l'eredità di Avatar, un fenomeno senza precedenti, per collegare il proprio nome a un prodottino come questo?

Iniziamo dal 3D. Si vede che tecnicamente le attrezzature sono di livello, tanto che la prima mezz'ora l'aggiunta ha almeno senso. Non dico che sia meravigliosa, almeno ha senso (a parte un lancio col paracadute, che ha degli effetti speciali che neanche in Italia riusciremmo a farli così brutti). Ma poi? Qual è la ragione di avere il 3D per un film girato prevalentemente al buio, in grotte e nelle acque? Nessuno, e a quel punto impossibile non rimpiangere la magnificenza - anche se un po' glamour - di Le Grand Bleu di Besson. 

Ma qui, almeno, siamo ancora sulla sufficienza, per scopi e risultati. Tutto il resto invece non va, tanto che il paradosso è che Cameron passa dal film che ha cambiato la storia del cinema proiettandoci nel futuro, a una roba che, senza il suo nome, avrebbe difficoltà a essere trasmessa su una tv via cavo in seconda serata.

Da dove iniziamo, dalla recitazione? Non si può neanche dire che gli attori vengano indirizzati male, come mi capita di far notare per diversi prodotti. Semplicemente, al regista Alister Grierson non frega nulla di questo aspetto, impegnato com'è a lavorare sul 3D. Certo, difficile fornire grandi interpretazioni con citazioni della Bibbia e di Guerre stellari buttate lì a casaccio, senza una ragione vera. E sì, se esistesse un razzie per i dialoghi, avrebbe già un vincitore annunciato.

E la sceneggiatura? All'inizio, l'idea è quella di una goffa esposizione a manetta, perfetta per far capire tutto quello che succederà con largo anticipo. Il resto è visto e stravisto, ma copiato anche male: conflitti generazionali, dinamiche di gruppo, tante morti poco efficaci. A questo proposito, ecco arrivare il difetto principale. Se in questi prodotti non crei dei personaggi che possiamo amare, non ce ne fregherà nulla della loro sorte e le loro vicissitudini, più che emozionare, annoieranno terribilmente. In effetti, non sarà un caso che la prima morte, quella che dovrebbe scioccare maggiormente, venga dimenticata dai protagonisti dopo un paio di minuti.

Peraltro, come capita in tante pellicole di questo tipo, il ridicolo involontario alla fine emerge dalle acque. Solo che, più che riguardare singole scene (come certe confessioni padre-figlio da stracult) è proprio il tono dell'opera a divertire. Mettiamola così: fosse stato un successo in America, entro qualche anno Tarantino avrebbe fatto un monologo sul sottotesto gay della pellicola. Ricordate Top Gun? Sanctum offre anche più spunti...

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