[San Sebastián] Venuto al Mondo, la recensione

Le peggiori aspettative confermate dai fischi al Festival di San Sebastian: un film quasi completamente sbagliato che sfiora più volte l’involontaria autoironia...

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Chi scrive sono tre anni che si reca al festival di San Sebastian e mai aveva sentito "buu" e fischi rivolti a un film come avvenuto, prima dei titoli di coda di Venuto al mondo.

Ha fatto male ascoltarli e ancora di più vedere la faccia dispiaciuta di Sergio Castellitto, presente anche lui in sala (assieme alla moglie Mazzantini, autrice del libro e co-sceneggiatrice) senza che nessuno se ne accorgesse. Si tratta di una grande produzione per il cinema italiano: più di dieci milioni di budget, due star internazionali come Penelope Cruz e Emile Hirsch, location balcaniche e varie scene di guerra (la storia del film si svolge sullo sfondo del conflitto nell’ex Jugoslavia). Fosse stato a Venezia, Venuto al mondo sarebbe stato distrutto dalla critica italiana; la doppia presentazione a Toronto e San Sebastian diminuisce l’eco dei giudizi negativi della stampa, ma la sostanza non cambia, è un film non riuscito.

Una madre e un figlio. Partono da Roma per Sarajevo per presenziare la mostra fotografica di quel papà scomparso ormai da tempo. Il confronto con quella terra ormai in ripresa, ma teatro di una delle guerre più violente della storia europea contemporanea mette la mamma di fronte a una serie di ricordi e un mistero ancora da svelare che non possono più essere tenuti nascosti.

Volere parlare della guerra, di cosa si è disposti a fare pur di diventare genitori e dare una speranza a qualcuno che ci è vicino, che sia il figlio che si aspetta o l’amico che si trova all’interno del più terribile degli scenari possibili, ovvero la guerra, è un obiettivo senza dubbio ambizioso e difficile da realizzare. Putroppo la sceneggiatura di Venuto al mondo affronta tutto questo infilando tutti gli stereotipi sulla guerra, dalla sua ferocia (stupri, esecuzioni, vendita degli schiavi/prigionieri) e alla sua inutilità (la morte del docente universitario e il parallelo finale con le commedie di Buster Keaton sono sequenze didascaliche e ricattatorie della peggiore specie).

Il film avrebbe pure una sua dignità se fosse stata tagliata l’ultima mezz’ora (qulla della rivelazione finale) e si fossero evitate alcune scelte di montaggio davvero discutibili, così assurde da provocare involontarie risate. Lo scambio di battute sulla morte di Kurt Cobain, il personaggio di Vinicio Marchioni e il feeling mancato della coppia Cruz-Hirsch (troppa la differenza d’età) compongono il resto di una serie di scelte sbagliate che fanno male tanto al film quanto all’immagine del cinema italiano all’estero.

Era una bella chance per esportare un nostro prodotto in tutto il mondo, ce la siamo lasciata sfuggire.

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