[San Sebastián] The Sessions, la recensione

Una grande sceneggiatura e due attori straordinari, per un film divertente e commuovente, non a caso premiato al Sundance...

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Quando un film inizia dicendoti che quella che seguirà è la storia di un uomo completamente immobilizzato dal collo in giù, uno che gira per la città sempre e solo sulla sua barella e che ogni tot di secondi deve respirare da un apposito macchinario, tutto ciò che puoi aspettarti è che ci sarà da piangere.

Ed effettivamente è così che accade per The Sessions, ma per fortuna le lacrime di commozione finali non sono tutto e, soprattutto, non sono ricattatorie come purtroppo capita spesso quando ci sono protagonisti affetti da qualche tipo di disabilità. Ci si affeziona davvero alla storia (vera) di Mark O’Brien, giornalista e scrittore costretto a vivere buona parte della giornata in una sorta di incubatore che ad un certo punto della propria vita si rende conto che l’essere ancora vergine è un peso insopportabile con cui convivere. Del resto se la poliomelite lo ha reso incapace di muoversi indipendentemente, non per questo ha reso insensibili i suoi muscoli ad altri tipi di sollecitazioni. E così, dopo aver consultato un prete (nel film interpretato da uno straordinario William H. Macy) , Mark decide di rivolgersi ad una terapista del sesso specializzata nei rapporti con disabili. Inizia così il ciclo di sei sessioni che lo dovrebbero portare ad avere un rapporto sessuale normale con una donna. I loro incontri dovrebbero essere solo un discorso fisico-terapeutico, ma ben presto si trasformano in qualcosa di più...

Il regista di The Session è Ben Lewin. E’ un uomo di sessantasei anni con un po’ di pancia, senza capelli e con un sorriso dolcissimo. Cammina aiutandosi con un bastone e la ragione è che anche lui è stato affetto in passato dalla poliomelite. Non nella forma grave di Mark O’Brien, ma abbastanza da capirlo ed entrare in contatto con la sua storia più di tanti altri registi. E’ lui che ha scritto la sceneggiatura di The Sessions basandosi su degli articoli scritti dallo stesso giornalista e facendo varie ricerche personali. Essendo stato prima di tutto una vittima della polio, Lewin non si fa problemi ad essere un politically uncorrect e si prende una serie di libertà davvero godibili, sia in termini di dialoghi che di situazioni.

The Sessions (che ha vinto il Sundance e che è stato presentato al Festival di San Sebastian dove, per l’appunto, abbiamo incontrato Lewin) è un piccolo gioiello di cinema, ricco di battute e di positive riflessioni sulla vita e le sue gioie, uno di quei film che ti fanno uscire dal cinema con la voglia di godersi ogni più piccolo attimo della propria esistenza. John Hawkes nella parte di Mark ed Helen Hunt (che, quasi cinquantenne, non si fa problemi ad apparire integralmente nuda, e anzi è molto affascinante come al solito) sfoderano due straordinarie interpretazioni che sicuramente saranno prese in considerazione ai prossimi Oscar.

Dopo Quasi Amici, un altro film ci parla di come si possano raccontare storie apparentemente tristi con il sorriso sulle labbra. Difficile parlare di un nuovo trend, per ora accontentiamoci di parlare in termini di “bei film”. Basta e avanza.

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