[San Sebastián] Le Belve, la recensione
Visto al San Sebastián Film Festival, Le Belve è uno dei film peggiori di Oliver Stone, con un grande cast sostanzialmente sprecato...
Sono anni che Oliver Stone non conferma la propria fama di grande maestro, ma stavolta si è toccato davvero il fondo. La sua trasposizione su grande schermo dell’omonimo romanzo di Don Winslow (in Italia pubblicato dall’Einaudi lo scorso anno con il titolo di Le Belve) è un tale concentrato di banalità, scene falsamente truci e hard boiled, retorica di sinistra, finto sesso e battute infelici, che davvero ci si dispiace per lui. La sua regia è un insieme di trovate pop e pulp di terz’ordine, roba che nemmeno il peggiore dei videoclippari amante di Tarantino avrebbe il coraggio di mettere tutte assieme. E poi c’è la sceneggiatura, ovvero uno script che fa acqua da tutte le parti, storia di un improbabile coppia di soci di un’impresa di produzione di marijuana costretta a entrare in uno spietato giro di trafficanti di droga dopo che l’amante di tutti e due è stata presa in ostaggio. Va bene il tono volutamente sopra le righe, ma a Stone manca completamente la capacità di avvicinarsi al giusto registro con cui raccontare un canovaccio così assurdo, e l’esito è una serie di personaggi non credibili e non simpatici (quello della Hayek soprattutto) dei quali non si capiscono le reali motivazioni (e quindi non si riesce a seguire la storia) e addirittura, colpa delle colpe, uno stupidissimo falso finale: centimetri di pellicola sprecati per raccontare una parte di vicenda sostanzialmente inutile.