[San Sebastián] Argo, la recensione

Una storia incredibilmente vera che ricorda i migliori thriller degli anni ‘70, girata alla grande da un Ben Affleck sempre più convicente dietro la macchina da presa...

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Siamo a tre. Ormai non si può più avere dubbi, Ben Affleck è un ottimo regista, non perfetto, ma sicuramente uno di quelli che se non avesse avuto anche una carriera da attore (e un Oscar da sceneggiatore per Will Hunting) sarebbe stato al centro di meno pregiudizi.

Dopo Gone, Baby Gone e The Town, ecco un altro progetto solido, capace di raccontare una storia drammatica senza perdere di vista l’intrattenimento. Storia vera, siamo a Teheran nel 1979, è il giorno del celebre attacco all’ambasciata americana, degli ostaggi e di un gruppo di sei fuggitivi che riesce a scappare prima che qualcuno si accora di loro. Trovano rifugio presso l’ambasciata canadese, ma bisogna portarli via dall’Iran e le idee scarseggiano fin quando un agente della Cia non guarda Anno 2670 ultimo atto alla tv e si fa venire in mente un’idea tanto strampalata quanto potenzialmente vincente: mettere su una falsa produzione di un film di fantascienza da girare nel deserto mediorientale e confondere i sei ostaggi all’interno della troupe...

Argo è il titolo di quel film che non fu mai realizzato, ma che davvero ebbe una conferenza stampa e gente che si impegnò nella sua realizzazione, o almeno nel renderlo credibile. Sembrano i presupposti per una commedia, e qualche elemento ironico c’è, ma il film di Affleck è soprattutto un bel concentrato di tensione, un dramma in cui si vive fianco a fianco con “gli ostaggi” senza che ci sia mai una piccola sbavatura. E’ vero, come lo stesso regista ha affermato durante la conferenza stampa al San Sebastian Film Festival dove ha presentato il film, “abbiamo aggiunto alcuni elementi di fiction per creare un climax finale, del resto una pellicola del genere deve anche intrattenere”, ma si tratta di piccoli elementi che non nuociono al valore generale del film che, al contrario, dati i recenti assalti alle ambasciate americane, sembra più attuale che mai.

Vale la pena menzionare almeno un paio di scene, quella del pulmino che passa in mezzo alla folla e la recita finale all’aeroporto. Si tratta di due tipologie di sequenze che si vedono in tanti film, eppure Affleck le gira senza dissipare neanche un briciolo della suspense accumulata precedentemente. A livello recitativo si dirige bene, il suo è forse il personaggio più presente, ma al contempo silenzioso, mentre la scelta di Goodman e Arkin per due ruoli marginali, risultano comunque vincenti visto che nonostante il poco spazio a disposizione, riescono comunque a rendere più leggero il film. Unico neo della pellicola è il finale, non tanto l’esagerazione dell’inseguimento in sè, quanto certo patriottismo didascalico. Argo è un film politicamente equilibrato, per come viene presentata la situazione al momento dell’attacco all’ambasciata si è portati a parteggiare per gli iraniani e le loro rivendicazioni e così quello scampolo di nazionalismo finale risulta un po' fuori luogo (ma Affleck aveva un po' sbagliato anche il finale di The Town).

Poco male, la somma degli elementi è più che mai positiva e si può già considerare Argo uno dei migliori film di questa annata.

PS: vale la pena rimanere in sala e vedere i titoli di coda con il confronto tra le immagini reali di quel periodo e quelle ricostruite per il film. E’ molto emozionante e testimonia l’accuratezza della ricostruzione storica operata dalla troupe tecnica di Affleck (dentro cui lavora il grandissimo direttore della fotografia Rodrigo Prieto, braccio destro solitamente di Inarritu).

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