La Saga dei Bojeffries, la recensione

Abbiamo recensito per voi La Saga dei Bojeffries di Alan Moore e Steve Parkhouse, raccolta in volume da BAO Publishing

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Ah, che meraviglia poter leggere un fumetto come La Saga dei Bojeffries. In particolare modo oggi, quando, a più di trent'anni dalla prima edizione del primo episodio della stessa, l'attualità e la sagacia di tale opera e della mente dietro questa, quella del grande Alan Moore, risultano parimenti geniali come lo erano al tempo. Quando un'opera conserva, e magari accresce persino, il suo valore, che resiste immutato al tiranno passare degli anni, signori, vuol dire che abbiamo indubbiamente a che fare con un capolavoro. E La Saga dei Bojeffries lo è, un capolavoro, nel suo essere un'esile raccolta in volume di "appena" nove episodi.

Protagonisti di questa "storia a puntate", definita dagli stessi autori come una soap opera paranormale, sono i Bojeffries, un nucleo familiare che potremmo facilmente definire come aberrante o distopico. C'è Jobremus Bojeffries, il capofamiglia, padre, figlio e fratello. C'è Ginda, ragazza con la quale Madre Natura non è stata certo gentile, donandole poteri da Superman ma un aspetto orribile, c'é Podslap, anziano oramai "agli ultimi stadi della materia" (se state pensando alla bibliografia di H.P. Lovecraft non state sbagliando), ci sono Raoul e Festus, rispettivamente un licantropo e un vampiro, e poi c'é quel misterioso neonato nascosto nel seminterrato, in grado di produrre in modo endogeno abbastanza energia termonucleare da alimentare il Paese. Pur non essendo la classica famiglia normale, i Bojeffries sono una famiglia inglese, che vive come le altre in una società con un preciso profilo nazionale.

Attraverso le vicissitudini di questi "mostri", per definizione dei "diversi", attraverseremo un intero trentennio dell'Inghilterra, dagli anni Ottanta a oggi. Per mezzo di questa versione alternativa della famiglia Addams, posta in un contesto alla Fawlty Towers riscritta in chiave nonsense sul registro di Monty Python's Flying Circus, Moore dà vita a una smaliziata analisi della sua società e delle persone che la compongono, sincera nel suo essere volutamente romanzata in modo grottesco. Il risultato finale è un ritratto del mondo entro il quale Moore è (pur nolente) cresciuto, bizzarro ma non per questo meno veritiero. Ne La Saga dei Bojeffries il Bardo di Northampton ne ha un po' per tutti, trattando temi come il finto perbenismo, il taedium vitae, la repressione sessuale, la farsa rappresentata dalla stampa e dai media in generale, la stoltezza della classe operaia assuefatta alla propria quotidianità, quella parte un po' ridicola del folclore che rende "tradizione" comportamenti e abitudini senza senso, il razzismo mal celato di un mondo solo fintamente accogliente, fino ad arrivare alla finta rabbia anarchica della seconda generazione punk, quella delle "borchie smussate" e improntata più alla forma che alla sostanza (non manca neppure qualche simpatica e più o meno nascosta "stilettata" al fumetto supereroistico, e ai personaggi che lo popolano). Questo, e molto altro ancora. Curioso che a evidenziare certe scempiaggini, raccontate anche in funzione dei tempi entro i quali i diversi episodi sono stati prodotti e quindi ambientati, ci siano proprio quei mostri dei quali dicevamo poco su, fermo restando che si possa davvero definire loro come "mostri".

Ad accompagnare Moore in questo viaggio per l'Inghilterra dagli anni Ottanta a oggi, c'è Steve Parkhouse, artista dallo stile notevole, capace di fondere mirabilmente il realismo più puro con la stilizzazione tipica di un vignettista, grazie a un tratto delicato ma anche incisivo, una caratterizzazione esemplare e un'attenta cura al dettaglio, il tutto ovviamente esaltato dal registro cromatico in bianco e nero.

In conclusione, la lettura de La Saga dei Bojeffries è qualcosa che è difficile non definire come "consigliata", specie in tempi di Brexit, perché sa fornire un ritratto attuale, satirico ma anche affettuoso (e mai gratuitamente "cattivo"), con uno stile comico con contaminazioni che spaziano dal pulp, all'horror, al surrealismo, di un popolo e una nazione da sempre unici nel loro genere.

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