La recensione di Ryuichi Sakamoto | Opus, presentato fuori concorso al Festival di Venezia 2023
Il cinema si fa antidoto alla mortalità umana in
Ryuichi Sakamoto | Opus, ultimo regalo del compositore e attore giapponese al mondo. Sakamoto, scomparso a marzo 2023 per colpa di un cancro, ha infatti raccolto tutte le sue energie per questa estrema testimonianza d’amore per la musica. Carezzato dalla macchina dalla regia di
Neo Sora con una delicatezza rispettosa ed estremamente elegante, l’autore ripercorre la sua carriera eseguendo al piano ventuno brani emblematici del suo ricco percorso.
Ce n’è per tutti i gusti; dagli amanti della musica classica pura ai tanti estimatori del suo lavoro sulle colonne sonore di capisaldi come Il tè nel deserto, L’ultimo imperatore o Furyo. Un’ immersione commossa e sentita, interrotta sporadicamente dalle esitazioni, dai ripensamenti del perfezionista Sakamoto; non si può non sorridere dinanzi al senso di autocritica dell’artista, non si può non provare malinconica empatia per l’uomo.
Non c’è elemento che distragga: Sora si concentra sulle mani, sui tasti, sulle corde, sulle micro-espressioni. E, sul finale, si concede il lusso di un artificio scenico che prefigura la scomparsa di Sakamoto, ma non della sua opera, della sua
opus. Torna alla mente una frase che George Sand rivolse al compagno Fryderyk Chopin, un genio che - al pari di Sakamoto - fu strappato anzitempo alla vita da un male spietato. ”Hai scelto un solo strumento, il pianoforte, e gli hai fatto parlare la lingua dell’infinito.” Una lingua con cui Sakamoto continuerà a dialogare col suo pubblico a dispetto della morte, e con cui
Opus comunica allo spettatore al pari di una suggestiva, dolente sceneggiatura.