Rustin, la recensione
Tutto affidato al suo protagonista, Rustin semplifica e riconduce a schemi convenzionali una storia e una persona che avevano bisogno di altro
La recensione di Rustin, il film con Colman Domingo disponibile su Netflix
Bayard Rustin è l’attivista afroamericano e dichiaratamente gay (o almeno quanto lo si poteva essere dichiaratamente nel 1963, cioè non negandolo) che ha organizzato la grande marcia su Washington culminata con il celebre discorso di Martin Luther King “I have a dream”. È la storia di un uomo che si batte per creare qualcosa di importante contro molte spinte, anche dalla comunità afroamericana, che volevano impedirlo o ridimensionarlo. E la parte quantitativa di questo evento, il resoconto dei numeri, delle difficoltà logistiche, di quanti bagni fu necessario installare, della potenza degli altoparlanti, dei treni speciali per trasportare i manifestanti in un numero mai visto fino a quel momento, crea la sensazione e la tensione dei momenti decisivi.
Lo stesso Domingo riesce davvero a dare una scossa a tutto il film. Se si guarda agli altri personaggi (in special modo a quello di Chris Rock) è evidente che Rustin non ha nessun mordente di suo e un’idea della ricostruzione storica molto posticcia. Domingo invece capisce che è la sua prestazione a veicolare tutto quel che si può veicolare e ha la forza muscolare di dare elettricità a ogni scena senza mai sfociare nella recitazione barocca o sopra le righe (che visto il carattere del personaggio sarebbe stato un problema). Il suo sforzo è encomiabile ma è troppo evidente come nasconda le pecche di un film a trazione attivista a cui in fondo solo quello interessa. La produzione è dalla società di Michelle e Barack Obama, ormai di gran lunga il presidente degli Stati Uniti ad aver prodotto più film.