The Rum Diary - Cronache di una passione, la recensione

Un nuovo Paura e Delirio a Las Vegas, ma ambientato a Portorico? Non proprio, nonostante l’impegno di Johnny Depp e la penna di Hunther S. Thompson...

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Riuscite ad immaginarvi Johnny Depp sceneggiatore? Che lui sia un tipo creativo è fuori di dubbio, ma che abbia anche la pazienza per mettersi davanti al computer e scrivere, tagliare e modificare scene e dialoghi è davvero difficile da credere ed infatti lui stesso, poco dopo aver comprato i diritti del romanzo The Rum Diary, ha deciso di non cimentarsi anche con le parole (come invece sembrava destinato a fare all’inizio), ma di affidare il lavoro all’amico Bruce Robinson che poi ne ha curato anche la regia (e il suo ultimo lavoro da regista era del 1992, Gli occhi del delitto). Peccato che non ci sia stato un Terry Gilliam disponibile visto che il materiale di partenza è stato scritto dallo stesso autore di Paura e Delirio a Las Vegas: Hunter S. Thompson. Parliamo del papà del gonzo journalism, amico dello stesso Depp e celebre scrittore per i suoi racconti pieni di incisi “su di giri” e che in questo caso hanno le proprie cause scatenanti ben intuibili fin dal titolo: il rum.

Siamo a Portorico, anni ‘60. Il giornalista Paul Kemp è stato appena assunto dall’unico giornale di lingua inglese dell’isola. Le tensioni sociali sono alte, la voglia di indipendenza degli abitanti del protettorato dagli Stati Uniti (un legame tuttora  non del tutto esauritosi) è la normale conseguenza del continuo sfruttamento a stelle e strisce delle meraviglie del luogo. Kemp ha uno stretto rapporto con l’alcol, ma riesce comunque ad attirare su di sé l’attenzione di alcuni speculatori del luogo che vogliono qualcuno che li aiuti con le loro manovre anche da un punto di vista comunicativo. Accanto a Kemp orbitano vari personaggi altrettanto eccentrici e critiche vittime del fascino del luogo. Tra di loro c’è anche una bellissima donna, compagna di uno dei boss americani che hanno ingaggiato Kemp: sarà lei a “far saltare il banco” e mettere il protagonista davanti all’amletica scelta: da che parte stare?

Abbiamo detto che il Depp sceneggiatore è poco credibile, ma se si parla invece di personaggi alle prese con qualche tipo di dipendenza, allora non c’è attore capace di vestirne meglio i panni. Nonostante la sceneggiatura e la regia di Robinson si lascino andare solo in un’occasione a visioni oniriche e comicità da strafatti, Depp ha il dono naturale di sembrare sempre con la testa da un’altra parte anche quando dovrebbe sembrare sobrio. Purtroppo il libro di Thompson manca di una storia forte, e per ovviare questa mancanza si affida a tanti personaggi satelliti e micro-trame che alla lunga non dicono nulla di più se non che Portorico è molto bella e che Amber Heard si conferma una bionda mozzafiato, ovunque e quantunque. Accanto a lei, Aaron Eckhart, Richad Jenkins e Giovanni Ribisi appaiono e scompaiono dalla scena aggiungere niente a trama o intensità della storia, quasi che siano capitati lì più per tributare l’ennesimo saluto a Thompson (morto in circostanze misteriose nel 2005) e al suo genio letterario, che per reale convinzione nel progetto a cui stanno prendendo parte. Il risultato è un film che non è né carne né pesce, troppo pulito per bissare gli entusiasmi di nicchia, ma pur sempre entusiasmi, di Paura e Deliro a Las Vegas, e troppo poco commedia o dramma per conquistare il grande pubblico, nonostante il cast altisonante. Chissà, forse con Johnny Depp alla sceneggiatura sarebbe stata tutta un’altra cosa: probabilmente più brutta, ma sicuramente più memorabile...

 
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