Rosso, bianco & sangue blu, la recensione
Rosso, bianco & sangue blu apre il “closet” di desideri non solo sessuali e romantici ma anche politici: un modo volutamente sognatore di immaginare la miglior versione possibile del nostro mondo.
La recensione di Rosso, bianco & sangue blu, disponibile su Prime Video dall’11 agosto
Potrebbe sembrare una minuzia, ma di fatto è la cosa più interessante del film Rosso, bianco & sangue blu: l’essere un desiderio realizzato, esplicito e con tanto di happy ending di un modo di vedere le istituzioni e la politica progressista; l’appropriazione queer, democratica e popolare di figure altamente standardizzate e inaccessibili in modo da renderle familiari, umane. Simili a chi guarda nel loro vivere le relazioni e nell’esercitare il libero arbitrio.
Dentro tutta questa banalità e surrealtà, necessarie per suggellare la dimensione fantasiosa del tutto (molte cose sono poco credibili, le dinamiche sono volutamente romanzate, immaginate, semplificate) non manca però una critica diretta al conservatorismo della corona britannica, verso la quale il film esercita una sopraffazione totale, mettendola spalle al muro senza via di scampo. Per chi ha visto The Crown, si tratto dello stesso conflitto di base: l’essere costretti a disumanizzarsi per far sopravvivere l’istituzione. È il conflitto preciso che ha qui il Principe Henry, mentre gli Stati Uniti ne escono gloriosi nel loro progressismo democratico immaginario (una presidente donna, un’elezione politica vinta anche in virtù delle lotte lgbtq+).
Insomma Rosso, bianco & sangue blu è un film che alla fine fa riflettere più di quanto ci si aspetti, poiché apre il “closet” di desideri non solo sessuali e romantici ma anche politici: un modo volutamente ingenuo e dolcemente sognatore di immaginare la miglior versione possibile del nostro mondo. Ogni tanto fa bene sognare.
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